In una fredda mattina di febbraio del 1950 salpó dal porto di Genova, la nave Amerigo Vespucci con destino Venezuela. Fra i tanti passeggeri, un giovane di 24 anni, con una valigia piena di sogni, speranze,coraggio e nient'altro. Il suo nome era Lino Bellettini nato a Portomaggiore, in provincia di Ferrara, il 23 settembre del 1926.
Di carattere un po’ ribelle ed indipendente, un giorno decise di lasciare gli studi, la famiglia e la Patria per farsi, da solo, un posto nella vita ed essere orgoglioso di se stesso. I primi tempi, in terra venezuelana, furono duri per lui, poiché il lavoro promesso sfumò e si adattò quindi a fare qualunque cosa: lavorò come operaio nella costruzione a Caracas, conobbe i mercati ambulanti, fu commesso in un negozio di alimentari, finché decise d'investire i suoi pochi guadagni, in un piccolo supermercato nella cittá di Barquisimeto.
Si sposó, per procura, con la sua fidanzatina di sempre, Dina, che arrivó poi in Venezuela nel febbraio del 1952. Il negozio non andó come si sperava e cosí, dopo varie indecisioni, s'iscrisse a un corso per venditori della compagnia Olivetti in Caracas.
La situazione miglioró, anche se una grave operazione al rene lo tenne in pericolo di vita per varie settimane.Nacque il primo figlio, Miguel, ora ingegnere nel complesso "Azucarera del Palmar" nello stato Aragua che, una volta sposato, gli regalò tre belle nipotine.
Lino, al poco tempo, fu promosso direttore dell'Olivetti di Maracay dove svolse egregiamente il suo lavoro e dove ebbe molte soddisfazioni nel mondo del commercio.
La sua meta però era quella di realizzare qualcosa di suo, di essere indipendente e di concretizzare il suo sogno. Nacque cosí "Mecanográfica Aragua", un prospero negozio che si fece conoscere per la sua organizzazione, onestá e popolaritá. Si vendevano macchine da scrivere, calcolatrici e si fabbricavano mobili personalizzati. Diede lavoro a molte persone e fu sempre molto
amato e rispettato dai suoi dipendenti.
Nacque Laura che si laureò in Inglese e anche lei formò una bella famiglia che lo allietò con due nipotini.
Nel 1975 fu presidente della "Casa d'Italia di Maracay", associazione culturale e sociale della comunità italiana. Qui impulsò molto lo sport e cercò di tenere viva, fra i giovani quella parte d'italianità che c'era in loro.
Dal governo italiano è stato condecorato "Cavaliere" per la sua attività instancabile come imprenditore nel mondo del commercio e dal governo venezuelano con "El Samán de Güere",per aver cooperato al benessere della città dando lavoro a tante persone.
Soddisfazioni queste meritate da un uomo che è stato un padre e un marito esemplare che con il suo sacrificio ha raggiunto la sua meta prestabilita.
È morto all'età di 72 anni lasciando un esempio di onestà, dignità, rispetto e con un grande rimpianto da parte dei suoi amici che erano davvero tanti.
Ero una giovane ragazza di 21 anni e volai per amore nel 1952, dopo un matrimonio per procura, verso una terra nuova a me sconosciuta: Venezuela.
M'aspettavano tempi duri, in un luogo diverso per cultura ed abitudini; però, la gioventù, l'entusiasmo e la speranza fecero da scudo e riuscii a superare le difficoltà.
Sono nata a Portomaggiore (Ferrara) nel 1930, mi fidanzai giovanissima con Lino Bellettini emigrato poi in Venezuela nel 1950.
Quando partii avevo solo una valigia con poche cose, alcuni cari ricordi, molte speranze e un diploma dell'Istituto Magistrale di Ferrara.
Mio marito ed io intraprendemmo una vita che cominciò colma di difficoltà e delusioni; il piccolo supermercato che avevamo non diede i frutti sperati e così, da Barquisimeto ci spostammo a Caracas.
Come venditore dell'Olivetti si superò egregiamente ed iniziò così un tempo di tranquilità e benessere.
Lo promossero poi direttore di una succursale in Maracay dove ci stabilimmo definitivamente.
Avevamo già due bambini: Miguel e Laura, e la vita scorreva tranquilla.
A, Maracay, in quegli anni si fondò la Missione Cattolica Italiana e fra i fondatori c'eravamo anche noi che con entusiasmo abbiamo contribuito a renderla prospera. Si inaugurò la chiesa San Carlo Borromeo e la scuola Juan XXIII: io, assieme ad un'altra insegnante, fummo le prime docenti del programma italiano.
Quando mio marito fu presidente della "Casa d'Italia", cooperai con lui e lo appoggiai in ogni sua decisione per lo sviluppo di questa associazione.
I miei figli crescevano, studiavano, poi si laurearono e si sposarono.
Quando venne a mancare mio marito, per me, si fermò il mondo e la vita si fece opaca ed inutile.
Una mano gentile mi aiutó a superare tutto questo: fu l’offerta della "Dante Alighieri" per incorporarmi al corpo docente della società.
Furono 15 anni di nuove sperienze e soddisfazioni che saranno sempre nel mio ricordo e che mi hanno permesso di conoscere giovani e non più giovani di varie nazionalità, desiderosi di apprendere la lingua italiana.
Ora a 90 anni, non sono più in Venezuela, abito in Costa Rica con mia figlia, però il mio cuore, i mie affetti e le mie più care amicizie sono là, in quella terra che già consideravo mia.
Fonte: testimonianza raccolta dall'Associazione emiliano-romagnola d'Aragua