A un tavolo, durante l'Assemblea delle Associazioni Emiliano-Romagnole di Uruguay, Cile e Argentina, il racconto di Celio Bertoni scorre a fatica. "Aspetta ", dice ogni tanto. E, intanto, ricollega i fili della sua storia, l’adolescenza scolpita in pochi episodi, che hanno come fuoco fisso l'avversione al fascismo e le persecuzioni contro il padre, ricomposti con la patina del tempo.
Il 4 aprile 1931 era Venerdì Santo. Dal "Conte Verde", piroscafo veloce degli armatori genovesi Costa, sbarcarono sul molo 4 di Buenos Aires, nell'estuario del grande Rio della Plata, decine e decine di persone, gente semplice, uomini, donne e bambini e tanti giovani.
Celio Bertoni, 25 anni, era partito da Genova un mese addietro. Portava con sé poche cose e una lettera della mamma, che lo raccomandava a un certo Francesco Martinelli. Fu il primo contatto, il punto di appoggio per la grande avventura in una città immensa, spropositata e accogliente. Poi fece amicizia con Gino Gibellini, un altro modenese. Trovò lavoro alla Textil Finanziera. La fabbrica di tessuti era proprietà di alcuni imprenditori italiani che non disdegnavano di dichiarare apertamente le loro simpatie per il fascismo, di raccogliere fondi e fare iscritti alle organizzazioni fasciste fra gli emigrati, che in quel periodo erano numerose in Argentina e in altre nazioni. Ma Bertoni non si faceva convincere né dalla propaganda né dalle minacce. E una mattina non trovò più il cartellino nella rastrelliera, all'entrata in fabbrica: licenziato senza alcuna spiegazione. Erano passati ormai circa due anni dal suo arrivo. Non poté fare altro che cercare un nuovo lavoro. Si trasferì a Rosario, nella provincia di Santa Fé, dove operavano nel campo delle costruzioni Gelindo e Ugo Damiani, due fratelli arrivati da Castelnuovo diversi anni prima. Con i Damiani strinse un ottimo rapporto di amicizia e fiducia. Fece il manovale, il muratore, il carpentiere, il capomastro specializzato in costruzioni in cemento armato. Nel 1937, comunque, si mise a cercare un'occasione di lavoro più soddisfacente. Se ne andò a Mar del Plata. Qui tentò di fare qualche passo avanti nel mestiere. Si improvvisò mediatore: vendeva case, assumeva appalti. Con questo lavoro, che gli rendeva molto, si fece una buona esperienza imprenditoriale. Decise di mettersi in proprio. L'impresa Edile Bertoni costruì abitazioni, capannoni ed edifici, strade, di tutto, tra cui, importante per il prestigio che gliene viene, un palazzo di 12 piani. Era arrivato dove voleva: aveva sicurezza economica e influenza personale.
In tutto questo periodo i rapporti con la famiglia a Castelnuovo Rangone, in provincia di Modena non furono né eccellenti né frequenti. Si, ogni tanto scriveva a casa ma la familiarità con i fratelli e il padre si era attenuata con il tempo e la distanza. Era partito, del resto, senza che i familiari concordassero sulla decisione di espatriare. Al treno, a Modena, fu accompagnato dal fratello più giovane. Ad estinguere il debito, che la famiglia aveva fatto per l'acquisto del biglietto contribuirono, poi tutti i fratelli con il loro lavoro. I Bertoni conducevano il forno al piano terra dello stabile posto alla fine del portico dietro il municipio. Ettore era uno dei fondatori del partito socialista a Castelnuovo. Molto stimato per l'onestà, la sensibilità e la correttezza, era stato il primo sindaco socialista di Castelnuovo Rangone. Per pochi mesi dal 26 settembre 1920 fino allo scioglimento del Consiglio comunale, nella primavera del 1921, quando fu costretto a dimettersi per non sottostare alle intimidazioni e all'arroganza dei fascisti. Con le elezioni farsa del 1922, un mese dopo la Marcia su Roma, vinte dai fascisti, terminava la prima esperienza di democrazia dopo l'unità d’Italia.
In Castelnuovo nasceva l'industria dei salumi. La macellazione e la lavorazione delle carni suine era praticata da tante piccole imprese artigiane, che rappresentavano, insieme con l'edilizia e l'agricoltura, un positivo sbocco alla disoccupazione giovanile. L'azienda più importante, in paese, era il salumificio Villani, molto ben organizzato e avanzato nelle tecnologie di produzione, che già allora esportava dappertutto, anche in alcune nazioni dell'America Latina.
Ma Celio Bertoni non riusciva a vedere le possibilità di lavoro e di affermazione nel paese e neppure nei paesi vicini e nella provincia. Aveva altro per la testa. Gli passava il film dei suoi vent'anni di vita e vedeva episodi che mettevano angoscia, rabbia, senso di impotenza e paura del futuro. Come quando, per costringere il padre a dimettersi da sindaco, trovarono dietro casa una bara, una minacciosa cassa da morto. O quando i fascisti si presentarono a guastare la festa di matrimonio della sorella. Successe nel 1922, che Celio era un ragazzino. E ancora, come nel 1929, quando venne imposta la rettifica degli atti di nascita dei fratelli Libero, Risveglio e Avanti, perché quei "nomi recano offesa al sentimento nazionale". Celio era giovane, pieno di vita e di speranze. Gli piaceva divertirsi. Una volta, era il 1927 o il 1928, con altri tre amici si arrampicò ai finestroni del Teatro e sparse pepe in polvere sul pubblico, provocando un pandemonio indescrivibile perché tra il pubblico erano presenti il podestà e il maresciallo dei carabinieri. Dovette scappare per i tetti. Era tenuto un po’ per sbrigliato. Illudeva le ragazze. Andava in bicicletta a ballare nei paesi vicini sempre con la paura di subire aggressioni, di incontrare gruppi di fascisti che potevano riconoscerlo come figlio del sindaco socialista. Immaginava che in emigrazione sarebbe stata dura. Non aveva neppure una gran cultura, perché aveva fatto solo gli studi possibili a Castelnuovo durante la guerra 1915/18: la scuola elementare fino alla quarta.
Il fascismo passò, attraverso il terribile tempo della guerra. Anche Castelnuovo subì le conseguenze tragiche de occupazione tedesca, della lotta di liberazione, dei bombardamenti. Il 26 aprile 1945, comunque, il Comitato di Liberazione designò alla carica di sindaco provvisorio, in attesa delle elezioni, Ermete-Libero Bertoni, che era direttore di stabilimento del salumificio Villani, figlio di Ettore e fratello di Celio. II nuovo sindaco diede avvio alla fase di ricostruzione del paese. Le prime elezioni libere e democratiche si tennero il 31 marzo 1946. Ettore Bertoni, in lista per il Partito Socialista, venne eletto consigliere e designato vicesindaco. Rimase consigliere fino alla morte, avvenuta il 23 gennaio 1955. Erano ancora anni di contrapposizione e di divisione, tra comunisti e democristiani, tra cattolici e socialisti. Ma al funerale di Ettore Bertoni partecipò tutto il paese. Pochi giorni dopo la morte la proposta di intitolargli la Piazza Maggiore fu approvata all'unanimità.
Di Celio Bertoni le notizie erano sempre state scarse. Si era saputo che lavorava sodo e che si era sposato. Ma non era mai stato troppo loquace con i familiari sulle cose che faceva, sulle amicizie, neppure sulla famiglia. Poco prima che scoppiasse la guerra aveva sposato Egly Blanc, figlia di un francese della provincia basca e di madre piemontese, da cui ebbe tre figli. Tornò la prima volta nel 1955 a Castelnuovo Rangone, quando gli arrivò la notizia della morte del padre. Nel 1964 ritornò una seconda volta, e portò con sé la moglie e la figlia. Ora ben sette nipoti allietano la vecchiaia di questo novantenne maestoso, esuberante, affabulatore felice di raccontare. Con la memoria che ogni tanto si ferma, quasi a riprendere fiato e accavallare fatti e momenti sparsi ne tempo, tra il posto della fanciullezza e della gioventù svagata e piena di timori, e la terra d'Argentina assunta come patria effettiva, che gli ha dato gioia di famiglia, lavoro e successo economico e sociale.
Fonte: testo tratto dalla pubblicazione "Lo sguardo altrove..." a cura di Renzo Bonoli e Rocchino Mangeri che accompagna la mostra "Cento anni di emigrazione emiliano-romagnola tra storia e memoria", realizzata con il contributo della Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo