Questa che vedete è un'immagine di Via Pascoli di Cattolica negli anni Venti. Da qui comincia la mia storia di emigrazione, che non è molto diversa dalle altre. È una semplice storia. La storia di un uomo che attraverso il suo coraggio e il suo modo di vivere è stato di esempio alle generazioni di discendenti. Alla fine degli Anni ‘20 l’Italia attraversava la crisi del dopoguerra che obbligava le persone che vivevano nella penisola, distrutta dai bombardamenti, a vivere in situazione d’insicurezza, con scarsità di cibo, vestiti e di ogni cosa. Il cibo mancava ed era pericoloso lavorare nei campi o in mare a causa delle bombe inesplose. Scarseggiavano medicine e acqua potabile.
A quell’epoca, in quell’Italia disastrata, nella costa adriatica, a Cattolica, adesso provincia di Rimini, è nato mio nonno. Lui viveva con i genitori, due fratelli e una sorella. Suo padre era un pescatore come tutti i suoi fratelli e parenti. Abitavano nell’unica strada pavimentata del paese, erano una famiglia normale, con una casa di proprietà e problemi finanziari, legati alla situazione del dopoguerra. Mio nonno Armando, all’epoca ebbe una brutta esperienza con la morte di suo cugino, ucciso assieme al figlio nell’esplosione della propria barca in mare, a causa di una bomba. La tragica notizia sconvolse tutto il paese e loro cominciarono a pensare di partire verso l’America, quel posto lontano che tutti dicevano era il continente dove si poteva trovare un futuro e dove tutto sembrava possibile.
Il periodo dal 1922 al 1927 è stato il più brillante della storia dell’Argentina. Nel mondo del dopoguerra, l’Argentina offriva tantissime possibilità: la buona amministrazione dello Stato permetteva agli emigranti di trovare un lavoro e quindi il benessere per le loro famiglie. Più di 500 mila immigrati arrivarono in Argentina in quel periodo. Quasi la metà proveniva dall’Italia meridionale. Si poteva vivere con prosperità. Lo slogan del governo argentino era: “Fare e lasciare andare avanti”: una massima liberale, nel rispetto però dei diritti delle persone e dell’ordine giuridico. Per un emigrante come mio nonno Armando, la decisione di lasciare tutto fu difficile. Lui sapeva che difficilmente sarebbe ritornato a vedere i suoi genitori, i fratelli, gli amici e il suo amore di gioventù.
Gli emigranti cercavano un mondo nuovo, in un certo senso come lo aveva immaginato 400 anni fa un altro italiano, genovese, Cristoforo Colombo. Lui non arrivò nel posto che pensava, ma mio nonno sì. In Argentina, nella lontana America lui ha trovato il suo amore, la sua famiglia e ha scritto la sua storia. E’ vero però che ha sempre vissuto con la speranza di ritornare. Le lettere inviate ai suoi fratelli nel corso degli anni sono la testimonianza di questo suo sogno. Io mi ricordo sempre con piacere una cosa che mi raccontava la mia mamma: mio nonno ogni mese inviava alla sua famiglia nella penisola del cibo, vestiti e un po’ di soldi. Armando non l’ha mai detto a nessuno, neanche dopo la ripresa economica dell’Italia. Armando arrivò in Argentina con due cugini, affittarono un posto letto vicino al porto di Buenos Aires e mangiavano con poche monete. Mio nonno era un bravo cuoco e con poca roba e tantissima creatività cucinava per lui e i suoi amici. La zuppa di pesce con il baccalà e la verdura, quei sapori di mare gli facevano ricordare la sua lontana Italia. Venne anche il tempo dell’amore. Un po’ dongiovanni e di portamento elegante, Armando aveva molto successo con le donne, anche attraverso la musica, con la quale occupava il suo tempo libero. Aveva una fisarmonica da professionista con la quale suonava nelle feste, faceva serenate per lui o per i suoi amici. Suonava “Mamma”, “Quel Mazzolin di fiori”, “Chitarra romana”, “O sole mio” e altre canzoni che adesso non ricordo. Questo “caro”strumento musicale ancora è conservato gelosamente a casa mia, assieme ai vecchi spartiti del nonno. Da qui forse la passione per la musica anche di mia madre, che suona il piano ed é stata insegnante di musica. Il gruppo di romagnoli partiti assieme a mio nonno e suo cugino, con il quale condivideva spesso le serate, era molto unito e comunicava attraverso il dialetto, pur conoscendo la lingua italiana.
Politicamente all’epoca in Argentina i conservatori e i latifondisti erano al potere e abusavano dei “laburantes”. I sindacati erano deboli o dipendenti dai capi. Con il peronismo arrivarono i diritti sociali e i lavoratori cominciarono a lavorare otto ore il giorno, invece che dalla mattina alla sera, con un salario che comprendeva le ferie pagate e benefici sociali ed economici legati al numero dei figli. Mio nonno ha sempre avuto rispetto per il peronismo, per le rivendicazioni sociali, per i lavoratori a prescindere dalla loro cultura, colore della pelle o provenienza. Finalmente era affermato ciò che dice la nostra Costituzione e cioè che i diritti sono validi non solo per gli argentini ma per tutti i popoli del mondo che vivono in questa terra. Da quel momento l’Argentina ha aperto le porte a tantissimi immigrati. In quegli anni mio nonno si sposò con mia nonna Josefa, discendente anch’essa d’italiani. Dal loro matrimonio nacque la mia mamma Adela, nome datole in memoria di sua madre che non ha mai più visto. Chissà cosa passava nella testa di questi giovani e valorosi emigranti al pensiero che non avrebbero più sentito uscire le parole dalla dolce bocca delle loro madri? Abitavano nel quartiere de La Boca, in una casa grande assieme alla famiglia della mia nonna, le sorelle, madre e padre. Era un posto formidabile, vicino al centro di Buenos Aires ed anche al porto, dove mio nonno lavorava sulle barche. Nel 1947 la famiglia traslocò a Ensenada, una città a cinque kilometri da La Plata, il capoluogo della provincia di Buenos Aires. In quella città nacque il suo secondo figlio Salvador Giuseppe, nome datogli in memoria del padre. Negli anni ‘50 l’Argentina cresceva finanziariamente, in Europa la chiamavano “il granaio del mondo”. A Ensenada ha cominciato a collaborare con la Società Italiana di Mutuo Soccorso e l’Unione di lavoratori cristiani. Mio nonno andava a messa tutte le domeniche e nelle festività religiose. Aveva una fede convinta che ha trasmesso anche a noi, alla sua famiglia e agli amici.
Mio nonno Armando fu un uomo integro, onesto e lavoratore. Un esempio come padre e capo di famiglia. Un italiano con un accento argentino, non tanto per come parlava, ma per il suo modo di essere. La sua vita é stata piena di felicità che si é conquistato. Ha amato pienamente i suoi figli e i nipoti – io, Carlos e mia sorella Patricia. Non é mai tornato in l’Italia, non possiamo sapere perché,. forse per paura di trovare un mondo cambiato, per emozione... non so... Questo capitolo della storia della mia famiglia ho avuto l’onore di chiuderlo io, visitando la casa dei suoi genitori in Via Pascoli a Cattolica. Ho conosciuto i suoi nipoti Giuseppe ed Enrico, figli di suo fratello Angelo e Adele – stesso nome della mia mamma – figlia di María, l’unica sorella di Armando, che secondo lui era la ragazza più bella di Cattolica. Ho conosciuto anche Guerino, che era espatriato in Argentina con il nonno ma che poi era tornato in Italia. Era l’unico cugino vivo. Dopo poco tempo dalla mia visita, è morto. Viveva ancora a pochi metri dalla casa, dove abitava mio nonno a Cattolica, un posto che per me è molto speciale ed é ancora un’emozione ricordarlo. Ho finalmente conosciuto quell’Italia dalle colline coltivate, dal cibo naturale e fatto in casa, dal buon vino, dall’olio di oliva saporito, dal pane fresco che lui descriveva anche nelle sue canzoni. Canzoni che parlavano di questa magica terra, del mare e dell’amore. Ho guardato queste cose attraverso i suoi occhi ancora prima di raggiungerle e quando l’ho fatto, le ho riconosciute vere.
Quell’amore profondo per la terra delle mie origini ha fatto sì che io mi facessi coinvolgere con gli italiani all’estero, attraverso le sue associazioni. Sono stato scelto come consigliere del Comitato degli Italiani all’estero nella provincia di Buenos Aires e assieme a mio zio Salvador abbiamo formato una nuova associazione della Regione Emilia-Romagna. La tradizione italiana della mia famiglia continua anche nelle nuove generazioni: mio nipotino Lucio, figlio della mia sorella Patricia, e bisnipote d’Armando frequenta l´asilo infantile della Scuola Italiana di La Plata, ha quattro anni e canta in italiano, la lingua del Dante. Sicuramente, con queste premesse, imparerà anche lui ad amare questa lingua e devo dire che già la parla meglio di me. In tutti noi é vivo lo spirito dei nostri nonni, dei nostri genitori e rimarrà vivo per sempre, attraverso le generazioni dei miei figli e dei nipoti, perché l’Italia fa parte della nostra storia e della nostra identità, anche se siamo argentini. Siamo comunque una fusione di culture e costumi diversi, un fatto che ci rende una razza speciale, un fatto che ci marca a fuoco.
Fonte: testimonianza di Carlos Malacalza, per il progetto culturale "Casa della memoria dell'emigrazione dell'Emilia-Romagna" promosso dalla Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo e realizzato in seguito alla richiesta dei giovani corregionali nella Conferenza di Buenos Aires del 2007.
Ascolta Radio Emilia-Romagna, puntata n.87 del programma "Lo sguardo altrove. Storie di emigrazione" nella quale Carlos Malacalza racconta la storia di emigrazione di suo nonno, Armando.