La storia che vogliamo raccontare riguarda in qualche modo personalmente anche chi scrive. Il protagonista si chiamava Sante Righini ed era primo cugino di mio nonno Ottavio.
Sante era un ragazzo nato a Pisignano di Cervia nel 1883. I genitori ( Giuseppe e Pedrelli Geltrude), come tutti i parenti residenti in zona, gestivano una drogheria con annessa macelleria nella frazione di Pisignano, nota soprattutto per la Chiesa di Santo Stefano. Nascere e abitare in un piccolo paese della Romagna in quegli anni, figlio di piccoli negozianti, non era una prospettiva allettante. Soprattutto per chi aveva sogni che lo portavano lontano, addirittura oltre oceano, nel favoloso Nuovo Mondo. Gli Stati Unita d’America che in un paio di decenni fra fine 1800 ed inizio 1900 accolse oltre 60 milioni di europei in cerca di fortuna. Già era emigrata negli USA la sorella Emma nel 1895. Qui aveva conosciuto un benestante emigrante svizzero che svolgeva l’attività di broker (mediatore assicurativo) Frederick Wenger 1868-1939 che sposò nel 1903. Una volta diventata cittadina americana la sorella Emma chiamò il fratello, così desideroso di una nuova vita e di nuove avventure e il 3 dicembre di quello stesso anno da Napoli Sante si imbarcò sulla nave Palatia. Aveva venti anni era di statura media per il tempo ( alto 1,63) scuro di capelli e di occhi: un vero italiano mediterraneo come migliaia che in quegli anni dall’Italia si portarono negli Stati Uniti d’America. Fece la tradizionale trafila. Arrivato a New York scese a Ellis Island per i controlli sanitari e dei documenti prima di raggiungere la sorella. Non trovò problemi. Era un ragazzo sano e tranquillo, senza alcun tipo di precedente. Pertanto benvenuto nel Nuovo Mondo pronto ad accoglierlo e trovargli un lavoro.
La sorella pur senza essere ricca, ma sicuramente benestante, conosceva e frequentava signore dell’alta società, anche per l’attività del marito. Sante non aveva imparato in Italia una vera professione. Aveva fatto le scuole dell’obbligo ,le elementari, e poi aveva prevalentemente aiutato i genitori e gli zii nei loro esercizi commerciali di campagna. Serviva i clienti, incassava il dovuto delle vendite, aveva imparato a trattare con le persone. Attività non secondaria ai tempi quando la maggioranza dei giovani si dedicava al lavoro dei campi con poche occasioni di incontro e di scambio. Così, con l’aiuto della sorella Emma, che nel frattempo aveva dato alla luce una bimba cui fu dato pure il nome di Emma ( junior, come spesso succedeva) trovò un buon impiego come cameriere-maggiordomo presso una ricca signora della città, la vedova White , Ella Holmes. Per alcuni anni svolse la sua mansione con dedizione e solerzia facendosi benvolere dalla Signora Ella, tanto che allorché decise di concedersi una esclusiva vacanza in Europa oltre alla propria cameriera personale si fece accompagnare anche da Sante, che nel frattempo, era il 1910, ottenne la cittadinanza americana.
Vediamo di saperne di più su Sante.
Era figlio di Giuseppe ( detto “Finon”) ed aveva oltre ad Emma altre due sorelle Ida ed Elvira. Il padre Giuseppe aveva almeno altri sei fratelli vivi. Di alcuni sappiamo di più. Li ricordiamo: Salvatore ( detto “Baroz”) bisnonno di chi scrive, Luigi ( detto “Gigion”) Costantino (detto “Antoni”, bisnonno di Renzo Righini dell’omonima industria meccanica ravennate) oltre a Rosamaria, Leonardo e Girolama ( che aveva avuto tre sorelle con lo stesso nome morte poco dopo la nascita). I quattro fratelli maschi erano figli di Sante emigrati da Forlimpopoli nelle zone del fiume Savio a Cannuzzo, Matellica, Castiglione e Pisignano dove avevano proseguito l’attività importata dalla cittadina di origine: macellai e droghieri. Sante Righini da Forlimpopoli era nato nel 1806 ed aveva sposato Lucia Melandri nel 1832 da loro la stirpe dei macellai che continuerà fino a mio padre Salvatore. Ma le ricerche che ho potuto effettuare, con l’aiuto di Nina Maria Liverani, Piero Camporesi e Cristina Poni, mi hanno portato fino al capostipite dei Righini trasferiti da Firenze a Forlimpopoli verso la fine del 1600. Ricordo con simpatia il padre di Sante (nato nel 1806) di nome Gaspare sposato con Girolama Artusi zia di quel Pellegrino che è il vanto della cucina romagnola e italiana: uno dei primi grandi chef ed uno dei primissimi scrittori di ricette di cucina.
Ma torniamo al Sante nato nel 1883 a Pisignano e partito come emigrante negli Stati Uniti. La signora Ella fu attratta dalla possibilità di fare la traversata dall’Inghilterra in America con la nave Titanic che avrebbe effettuato il viaggio inaugurale. Un avvenimento di grande attrattiva e interesse che la signora poteva finanziariamente permettersi, viaggiando nel lusso della prima classe.
La signora, la cameriera ed il maggiordomo si imbarcarono a New York con valige e bauli come era d’uso allora per raggiungere l’Inghilterra e qui salire sulla nave Titanic per il viaggio inaugurale unitamente ad altri importanti personaggi del tempo nel lusso della prima classe. La nave aveva altre due classi: la seconda e la terza, questa dedicata a coloro che emigravano per lavoro negli USA. Il biglietto complessivo per i tre passeggeri costò 135 sterline ( si tenga conto che lo stipendio medio annuo di un operaio era di 55 sterline annue!).
L’emozione dei nostri tre era al massimo. La ragione dei due viaggi era unica: fare la traversata inaugurale con la più grande nave mai costruita, l’inaffondabile. Sappiamo tutti quanto fosse tutto esagerato. A cominciare dall’inaffondabilità. Nulla di più falso. Ma si seppe dopo. Nessuno aveva pensato che potesse accadere. La tragedia per qualcuno avrebbe dovuto insegnare molto al mondo. Ma si sa che la storia forse insegna, ma l’uomo non ne tiene troppo conto. Il Titanic rappresentò, a posteriori, l’arroganza dell’uomo. L’affondamento non fu causato dal destino ineluttabile ma piuttosto dalla protervia degli uomini. Il Titanic come la Torre di Babele, l’uomo che vuole imitare Dio! E cade senza potersi rialzare. Creando il Titanic si credette invincibile. E invece!
Il 10 aprile 1912 i tre, assieme ad altre 2220 persone (37 in tutto gli italiani di cui 8 viaggiatori e 29 fra i dipendenti), tra passeggeri ed equipaggio, si imbarcarono con grande entusiasmo sulla grande nave e si prepararono alla traversata transoceanica che li avrebbe portati in pochi giorni da Southampton a New York, con scali a Cherbourg e Queenstown porti inglesi. Un’avventura unica da raccontare a figli e nipoti e da tramandare anche oltre. Sante Righini il garzone di bottega di Pisignano era fra le 329 persone che viaggiavano nel lusso della prima classe. E lusso, non solo per quei primi anni del 1900 a pochi anni dallo scoppio della Prima guerra mondiale, lo era davvero. Le descrizioni delle camere, delle suite, dei saloni riservati ai viaggiatori di prima classe raccontavano che neppure i migliori alberghi ed i più esclusivi club inglesi avevano pareti rivestite di legni pregiati e mobili tanto lussuosi.
Ai tre, Mrs Ella Holmes White, la cameriera Miss Nellie Mayo Bessette, il Maggiordomo Sante Righini, si era poi aggiunta un’amica di Ella, la Signora Marie Grace Young che viaggiò nello stesso appartamento dei nostri. Una lussuosa suite con quattro stanze, un salotto e due bagni. Tutto faceva prevedere un viaggio nel lusso fra personaggi di fama, musica e cucina di primordine.
Era una bella giornata magari un po’ fredda, equipaggio e passeggeri da varie passerelle riempivano la nave di 46.329 tonnellate lorde con un dislocamento di 52.310 tonnellate, 268,83 metri di lunghezza, 28 metri di larghezza, 18 metri dalla linea di galleggiamento al ponte lance e 53 metri dalla chiglia alla cima dei quattro fumaioli. 29 caldaie a carbone fornivano la potenza alle tre eliche da 26 tonnellate l’una. Numeri che fino ad allora non si erano visti in nessuna nave. Una potenza da 50.000 cavalli che spinta al massimo regime poteva raggiungere i 25 nodi di velocità. Dotata di doppio fondo con sedici compartimenti stagni. E la nave avrebbe potuto navigare con due, tre compartimenti allagati. Una eventuale collisione avrebbe allagato uno, massimo due compartimenti e non sarebbe successo nulla, così diceva il costruttore e ribadivano gli armatori. Da qui il nome di “Inaffondabile”.
Ma se era lusso quasi sfrenato per i viaggiatori di prima classe, anche quelli di seconda non se la passavano male. Lo standard loro era quello di prima classe della maggior parte delle navi passeggeri del tempo e gli stessi viaggiatori di terza potevano avere dei confort impensabili che per la maggioranza di loro non avevano goduto tanto mai nella vita di tutti i giorni. Quindi massimo per tutti. Non mancava che il momento di partire e di godersi tutto quel ben di Dio per i giorni della traversata, si fosse in prima, seconda, o terza classe. Gli stessi marinai ma anche i 60 fuochisti potevano avere una vita mai vista in altre navi dell’epoca.
Il viaggio non iniziò con i migliori auspici, o forse si secondo gli ottimisti. Per poco, quando il bastimento si staccò dal molo di partenza per poco non si scontrò con una nave più piccola che stava manovrando nelle vicinanze. Ma le due imbarcazioni proseguirono senza toccarsi: buono o cattivo auspicio?
Sante svolgeva nell'appartamento assegnato le sue mansioni di maggiordomo e partecipava alla vita comune dei passeggeri di prima classe. Avendone quasi gli stessi privilegi. Poteva pranzare e cenare al tavolo della Signora e dell’amica con la collega cameriera personale, quindi usufruendo della cucina di un celebre connazionale Luigi Gatti che curava il ristorante Ritz di prima classe, ascoltare la musica di una ottima orchestra nel salone delle feste, passeggiare sui ponti più alti della nave. Certamente pensava che stava vivendo i giorni più bella della sua ancora giovane vita. E se si fosse sposato ed avesse avuto dei figli e poi dei nipoti i racconti inerenti quel viaggio li avrebbe lasciati allibiti ed attoniti.
Ma il destino, il diavolo, la sfortuna ci misero un maledetto zampino.
"Iceberg dritto davanti a noi!"
Gridò il marinaio messo a guardia in coffa. Malgrado i cablogrammi arrivati al transatlantico nelle ore precedenti il comandante E.J. Smith, scelto per la sua importante storia professionale dalla White Star Line armatrice, non vi diede troppo peso. Nessun iceberg poteva essere capace di far male al Titanic.
Ma quello che non poteva capitare, purtroppo, avvenne e la grande montagna di ghiaccio la notte del 12 aprile 1912 si scontrò con la nostra nave e vi procurò uno squarcio tale da provocarne l’affondamento in poche ore. Mentre nel grande salone la musica continuava a deliziare i passeggeri di prima classe sui ponti i marinai e gli ufficiali predisponevano l’evacuazione dei passeggeri e prima di mezzanotte il comandante pronunciò la fatidica frase: “si salvi chi può”, si cominciò a mettere a mare le scialuppe, ad imbarcare.
“Prima le donne e i bambini”.
E qui il grande problema, solo da qualcuno prima della partenza fatto rilevare, delle scialuppe disponibili. Erano solo 20 ( in regola coi regolamenti dell’epoca che tenevano conto della stazza della nave e non del numero di persone in navigazione). Ne sarebbero servite almeno 50 per le persone a bordo, e addirittura 64 se la nave avesse imbarcato tutti i passeggeri possibili.
In quelle tre ore scarse successo il finimondo. Cominciarono a prendere posto sulle scialuppe le donne ed i bambini di prima classe poi le donne e i bambini di seconda e di terza e in mezzo a anche uomini che non tennero conto delle priorità imposte. Alla fine dei 2223 passeggeri ed equipaggio imbarcati se ne salveranno appena 706, e conseguentemente 1.517 furono i morti, fra essi uomini, donne e qualche bambino. Fra questi anche Sante Righini (nelle tantissime cronache dell’epoca fu chiamato erroneamente anche Ringhini e Reghini) che non trovò posto sulle scialuppe e neppure poté far conto sulla cintura di salvataggio, poiché date le temperature sottozero delle acque la sopravvivenza oltre i dieci minuti era impossibile.
Già nella mattinata del 13 aprile arrivarono navi allertate in soccorso. Presero a bordo i sopravvissuti delle scialuppe e per qualche tempo perlustrarono la zona in cerca di eventuali naufraghi vivi (non si ha notizie di salvataggi oltre le due ore dal naufragio) e a qual punto, al recupero dei corpi galleggianti degli annegati. Fra i sopravvissuti Ella Holmes White (con la cameriera) che pare debba il recupero della scialuppa sulla quale si trovava ad un prezioso bastone da passeggio, che portava sempre con se per un problema ad un piede, che aveva un pomello luminoso visibile da lontano anche nelle acque limacciose del naufragio. Accenniamo al bastone da passeggio di Ella in quanto pochi mesi fa sarebbe stato posto in vendita ad un’asta in Inghilterra con prezzo base di 500mila sterline, con proprietà contesa fra due cugini discendenti della signora morta poi nel 1952 dopo alcuni anni di residenza al Plaza Hotel di New York.
La nave Mackay Bennet recuperò fra gli altri corpi anche quello di Sante Righini il 15 aprile, contrassegnato con il numero identificativo 232, che portò in Nuova Scozia (Canada) dove era diretta. Il riconoscimento di Sante fu effettuato dal cognato Frederick Wenger grazie ad un anello con le iniziali RS che Sante portava al dito, oltre al riconoscimento dell’abito e dell’etichetta del sarto che lo aveva confezionato. Il corpo fu portato a New York e sepolto a cura della sorella e del cognato nel cimitero di Brooklyn nella tomba della famiglia Wenger che porta una lapide con i nomi di Frederick, di Emma e appunto del nostro Sante Righini partito da Pisignano con tante speranze che sono affondate con lui e con il transatlantico “inaffondabile” Titanic.
Una tragedia che poteva insegnare al mondo dell’epoca e non solo. L’arroganza e la protervia degli uomini sempre si ritorce a danno dell’umanità, è stato scritto, prima e dopo il Titanic. Anche qui l’uomo sfidava la natura, ma anche in questo caso la natura vince, sempre, comunque! Forse avremmo dovuto imparare molto da questo triste episodio dove 1516 persone persero la vita assieme a Sante di Pisignano. Ma si ha la sensazione che, come sempre la storia insegna, ma non viene ascoltata.
Fonte: racconto e articolo fornito alla Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo da Ottavio Righini