La storia dell’emigrazione italiana in Australia è ancora in parte da scrivere. Meta secondaria rispetto alle Americhe, il nuovo continente poteva essere raggiunto dall'Europa, prima dell’apertura del canale di Suez, con non meno di tre mesi di navigazione. Poco nota è la presenza di italiani già negli anni immediatamente successivi al 1788, quando iniziò la colonizzazione inglese del Nuovo Galles del Sud. Il primo connazionale a mettere piede in Australia fu probabilmente il navigatore Alessandro Malaspina, che avrebbe toccato le coste australiane l’11 marzo 1793 durante il suo periplo del mondo. Poi fu la volta del riminese Alessandro Belmonte e, nel 1842, del conte modenese Girolamo Carandini, il cui arrivo precedette di una decina d’anni la Goldrush, la corsa all’oro. Questa vide convergere nello stato del Victoria, a partire dal 1851-52, gruppi di italiani provenienti dalle regioni del nord, come la Valtellina, la Liguria, il Lombardo-Veneto: i più, emigrati per motivi economici, e qualcuno per sfuggire alle persecuzioni della polizia austriaca dopo i falliti moti rivoluzionari degli anni ’40-’50.
La storia di Girolamo Carandini e della sua famiglia sarebbe degna di figurare tra le imprese di Corto Maltese di Hugo Pratt o in un romanzo d’avventure come “Oceano mare” di Baricco, tanto avvincente è il dipanarsi di vicende che si svolgono in luoghi remoti e selvaggi.
Girolamo Carandini, nato a Modena nel 1803, era il discendente di una nobile e antichissima famiglia, di cui è documentata l’esistenza già nel XV secolo, ma che secondo gli storici esisteva già ai tempi di Carlo Magno ed aveva ricevuto l’investitura dall'imperatore Federico Barbarossa. Il conte Girolamo aveva i titoli di 9° marchese di Sarzano, patrizio di Modena, nobile di Bologna e ufficiale degli ussari ungheresi, ma era un giovane romantico, dal temperamento artistico e di idee liberali, e perciò finì nel mirino della polizia austriaca. Nel 1835, forse temendo l’arresto e la condanna a morte per attività sovversiva, si rifugiò in Inghilterra. Il governo austriaco gli confiscò i beni e a lui non restò che tentare la fortuna in qualche parte del mondo. Scelse, non sappiamo per quale motivo, la lontana Australia, e fu uno dei pochissimi italiani a stabilirsi a Hobart, in Tasmania, allora colonia penale inglese, dove giunse nel 1842. Con lui viaggiava un gruppo musicale che si era portato – sembra - da Modena, perché il conte era lui stesso musicista e amante della lirica e della danza.
Se nella città ducale il clima soffocante e codino non gli permetteva di esprimersi in libertà, nella bellezza primordiale della Tasmania - una terra meravigliosa abitata da una particolare razza di aborigeni oggi estinta – Carandini sentiva l’aria avventurosa della new frontier. Iniziò a girare l’isola con i suoi musicisti, guadagnandosi da vivere portando lirismo e sentimento tra gli abitanti della colonia penale. Nel corso della sua tournée ebbe l’idea di fondare una scuola di danza per far conoscere l’arte di Tersicore ai giovani della borghesia locale. Fu la "dance school of Count Carandini" a introdurre la danza e il balletto romantico in Australia. Fu l’esiliato modenese a portare gli arabesques, i pliés e i tutù tra le figlie dei rozzi coloni che, divenuti squatters, proprietari terrieri a danno degli indigeni, cercavano un’elevazione sociale. Immaginiamo anche la meraviglia degli aborigeni, spinti dai bianchi ai margini della società, davanti a quelle coreografie e alla musica che le accompagnava: loro che percorrevano il continente seguendo le piste degli Antenati, i quali all’origine dei tempi avevano cantato il nome di ogni cosa incontrata - animale, pianta o roccia - per farla esistere attraverso il canto.
Per un’altra persona il canto era la vita: un’inglesina di 17 anni, Mary Burgess, allieva della scuola di danza di Carandini. Mary aveva l’arte nel sangue: nata nel 1826 a Brixton, vicino a Londra, apparteneva a una famiglia in rapporti di parentela con il poeta Shelley e di amicizia con Byron. Il matrimonio del maestro modenese con l’allieva inglese fu celebrato nel marzo 1843 a Hobart nella chiesa di St Joseph. “Carandini – scrive Charles D’Aprano in From goldrush to federation (1999) – era un rinomato insegnante di canto, fu lui ad aiutare sua moglie a sviluppare la voce, e così Maria da contralto acquistò una drammatica voce da soprano che le permise di interpretare il ruolo di Leonora nell’opera di Verdi Il Trovatore” (questo sarebbe avvenuto qualche anno più tardi, al Prince of Wales Theatre di Sydney).
Torniamo in Tasmania. L’isola era ancora troppo culturalmente arretrata per apprezzare l’opera lirica. Dopo alcuni infruttuosi tentativi di metter su uno spettacolo, i Carandini lasciano Hobart per il continente. Nel 1845 sono a Sydney, dove Mary prende lezioni da Isaac Nathan, celebre compositore e maestro del coro alla St. Mary’s Cathedral, pure lui inglese e amico del poeta Byron, di cui trent'anni prima aveva messo in musica le Hebrew Melodies. Nel 1846 Girolamo Carandini, con la sua Australian Opera Company, la prima compagnia operistica nata in Australia, mette in scena a Sydney l’Attila di Giuseppe Verdi, a un anno appena dal debutto dell’opera a Venezia. Ma per arrivare a rappresentare un’opera a Melbourne, i Carandini dovettero aspettare fino al 1852, con la Norma di Vincenzo Bellini, che non fu un successo. Le basi in ogni modo erano gettate, grazie anche a Isaac Nathan, autore nel 1847 del primo dramma lirico scritto in Australia (Don John of Austria) e di composizioni in cui venivano per la prima volta incluse armonizzazioni della musica aborigena (The Southern Euphrosyne, 1849).
Si può dire che il modenese Carandini, la sua giovane moglie inglese e la loro cerchia di amici musicisti furono i pionieri dello spettacolo operistico in Australia: un genere che avrebbe riscosso enorme successo a partire dal 1870 nelle città (si ricorda una fortunata rappresentazione al Royal Theatre di Melbourne dell’Ernani di Verdi il 5 febbraio di quello stesso anno ad opera di artisti venuti dall’Italia), ma che non trovò adeguata accoglienza presso i villaggi degli scavi auriferi negli anni della corsa all’oro.
Il conte Carandini si sfilò dalla compagnia quando fu nominato insegnante di lingue e di danza al Queen’s College di Melbourne. Continuò invece il successo di Madame Carandini. La “primadonna” del canto è ritratta in un dagherrotipo di Mr Duryea nel 1855 a Adelaide, e a testimonianza della sua fama c’è anche un disegno in inchiostro e seppia dell’immensa folla che l’applaude alla Salle Valentino di Melbourne nel 1854. La cantante fece apprezzare le più belle opere italiane al pubblico non solo d’Australia, ma anche dagli altri paesi in cui si recò in tournée: Nuova Zelanda, India e Stati Uniti.
La passione per i concerti operistici fu trasmessa dai coniugi Carandini a tre figlie (ebbero in tutto cinque femmine e tre maschi), Lizzie, Rosina(maritata Palmer) e Fanny: le ultime due divennero altrettanto celebri della madre. Capitava anche che si esibissero insieme: l’Hawke’s Bay Herald del 4 febbraio 1868 riporta la loro partecipazione a un music festival: Madame Carandini è indicata come “Australian Prima Donna”, Miss Fanny è contralto e pianista, Miss Rosina cantante e pianista, e poi c’è un tenore. Questa famiglia ha fatto davvero la storia della musica nello Stato del Victoria. Rosina Palmer (1844-1932) aveva una bellissima voce da soprano e si cimentava con le arie italiane e con le canzoni scozzesi: una di esse, “Jeannie Deans”, scritta per lei da un compositore locale nel 1859, la rese famosa. E’ considerata la più grande soprano del suo tempo dopo Nellie Melba. Fanny Carandini è rimasta nella toponomastica australiana: Fannie Bay si chiama oggi un sobborgo della città di Darwin, nel nord del paese. Furono gli agrimensori della spedizione Goyder nel 1868 a chiamare con questo nome quella che era allora solo una baia di fronte all’Oceano, a perpetuo ricordo della cantante d’opera che più amavano. Delle due sorelle ci resta una bella fotografia che le ritrae insieme nel giugno 1869 a Brisbane.
Anche i figli maschi dell’esule modenese non vissero da sconosciuti. Uno era un ufficiale dell’esercito inglese che si distinse sui campi di battaglia della guerra anglo-afgana, un altro entrò nella leggenda con lo pseudonimo di Christy (Cristoforo) Palmerston - nome quest’ultimo che tradisce l’ammirazione del conte Girolamo per il politico liberale inglese campione, insieme, della potenza britannica e della libertà nel mondo. Nato a Melbourne, dove i Carandini erano andati a vivere, Christy Palmerston (1850-93) riassume in sé tutto il fascino della primitiva terra australiana, del deserto, del bush, degli aborigeni, dei mandriani, dei bivacchi dei cercatori d’oro intorno ai fuochi. Palmerston fu uno dei primi avventurieri che percorsero i vergini sentieri del Queensland settentrionale, la zona tropicale, tagliando foreste, cacciando serpenti e coccodrilli, scoprendo giacimenti auriferi. Aprendosi la strada tra fitte boscaglie, dal 1877 al 1882 esplorò parte del Queensland, dove molti luoghi (tra cui un parco nazionale) portano oggi il suo nome. Nel 1886 incrociò l’esodo dei minatori che abbandonavano i campi auriferi. Ma fu soprattutto il suo rapporto con gli indigeni a renderlo leggendario: pare che fosse sempre accompagnato da un gruppo di giovani cannibali fedelissimi, ai quali ogni tanto dava in pasto qualche cinese che intralciava i suoi piani. Aprendosi la strada tra fitte boscaglie, dal 1877 al 1882 esplorò parte del Queensland, dove molti luoghi (tra cui un parco nazionale) portano oggi il suo nome. Nel 1886 incrociò l’esodo dei minatori che abbandonavano i campi auriferi. Anche lui decise di mettersi tranquillo, si sposò e andò a vivere a Townsville dove comprò un albergo. Ma era figlio di suo padre: non resistette al richiamo dell’avventura e ripartì per un altrove. Questa volta era la Malesia, dove morì di malaria nelle zone interne, mentre cercava metalli preziosi.
Vi ricordate Christopher Lee, uno dei più famosi Dracula del cinema, l’attore che è recentemente apparso ne “Il signore degli anelli”? Ebbene, il suo vero nome è Christopher (come Christy Palmerston) Frank Carandini Lee: anche lui appartiene alla casata modenese dei Carandini, di cui porta l’anello. In un’intervista di qualche anno fa disse: “Io sono nato a Londra, mia madre in India e mio bisnonno in Australia. Fu mio cugino, Niccolò Carandini, a indicare un destino d’attore per me: mi disse che la nostra famiglia ce l’aveva nel sangue. E infatti io non sono l’unico esempio. Una mia familiare, madame Carandini, era cantante d’opera in Australia, conosciuta come 'l’usignolo della Tasmania'”.
Tutto torna: l’interprete di Dracula è un lontano discendente di Percy Bysshe Shelley, ed è noto che fu la seconda moglie del poeta, Mary Shelley, a dar vita, nel 1816, all’inquietante figura di Frankestein, durante un’estate trascorsa sul lago Lemano, in Svizzera, in compagnia del suo futuro marito e di George Byron. Dracula, Frankestein, i cannibali di Palmerston, il malvagio mago Saruman de "Il signore degli anelli": tra finzione e realtà, il cerchio si chiude.
Mary Burgess Carandini tornò a Londra (dove morì nel 1894), lasciando i figli in Australia, dopo la morte del marito, avvenuta nel 1870 a Modena. Era successo che il conte Girolamo, riabilitato dal governo italiano dopo l’unificazione del paese, avesse deciso di tornare in Italia, nel 1869, per rientrare in possesso dei propri beni confiscati dagli austriaci. I familiari l’avrebbero raggiunto non appena sistemate le cose. Purtroppo visse all'ombra della Ghirlandina solo qualche mese, sotto il peso della malattia e, forse, dei ricordi.
Palazzo Carandini nel centro di Modena oggi ospita una banca. E’ stato eretto nel 1823, quando Girolamo aveva vent’anni. L’imponenza della facciata è alquanto sacrificata dall'angusta via su cui si affaccia. E’ un po’ come la vita dell’esule risorgimentale: ricca, ma poco conosciuta.
Fonte: Materiale prodotto all'interno del progetto culturale "Casa della memoria dell'emigrazione dell'Emilia-Romagna" promosso dalla Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo e realizzato in seguito alla richiesta dei giovani corregionali nella Conferenza di Buenos Aires del 2007.
Il terzo fascicolo della collana “Immagini e parole dall'Emilia-Romagna”, – nata dalla collaborazione tra la Consulta degli Emiliano-Romagnoli nel mondo, l’Istituto per i beni culturali, il Servizio comunicazione, educazione alla sostenibilità e strumenti di partecipazione e l’Agenzia di informazione e comunicazione della Regione – dal titolo "In cerca dell'altrove: storie di emiliano-romagnoli nel mondo" racconta con testi e immagini ad acquerello le storie di alcuni dei nostri conterranei che, in un passato più o meno recente, sono andati per il mondo a cercare fortuna e avventura, o semplicemente una vita diversa.
Scopri anche gli altri volumi della Collana “Immagini e parole dall'Emilia-Romagna”
Vol.1 "Nove passi nella storia. L'Emilia-Romagna si racconta"
Vol.2 "Il mondo in un paese. Luoghi e personaggi dell'Emilia-Romagna"