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Un cuore avvolto in fette di nostalgia: storia raccolta all'interno del progetto "La pasta in valigia" coordinato dal Comune di Piacenza e realizzato con il contributo della Consulta ER nel mondo

Enio Concarotti nasce a Piacenza nel 1923. Studente dell'Istituto Romagnosi, negli anni della seconda guerra mondiale si avvicina al giornalismo scrivendo sul foglio clandestino "Il Grido del Popolo", giornale della divisione Giustizia e Libertà. Terminato il conflitto inizia a scrivere articoli per "Piacenza nuova", organo del Comitato di Liberazione di Piacenza e per il settimanale "Noi della montagna". Nel 1947 si trasferisce a Torino in qualità di redattore della rivista "Federalismo mondiale" inserita nel movimento culturale di Adriano Olivetti.

Nel 1949, a ventisei anni, Enio decide di emigrare in Sud America. L'aspettano una serie di collaborazioni e corrispondenze con giornali italiani. E lì lo attende Fiorino Barretta. Originario di Reggio Calabria, Barretta era cresciuto a Piacenza ed aveva conosciuto Enio con cui condivideva la passione per il giornalismo. Emigrato a Caracas nel 1948, dopo una breve esperienza presso una rivista dell'Automobil club venezuelano, è proprio Barretta a chiamare Enio per lanciare un progetto giornalistico dedicato alla comunità italo-venezuelana, allora in fortissima espansione.

Della partenza e del lungo viaggio, compiuto nel dicembre 1949 a bordo del Castelverde, Enio lascia un toccante ricordo:

"Quando si parte da emigranti e si va d'avventura in giro per il mondo bisognerebbe avere due cuori: uno da lasciare a mamma e papà che ti salutano dalla banchina del porto di Genova con uno smarrito piangere negli occhi, l'altro da tenerti in petto per continuare a vivere. C'era in giro aria di Natale in quel 20 dicembre appena dopo la guerra e mia madre era una frana di svanita tristezza con quel suo guardarmi celeste che non capiva perchè me ne andavo via così, rimingo e balordo, a cercare chissà cosa, chissà chi, chissà ove, in mezzo a gente ignota e diversa. Il Castelverde partì verso mezzogiorno con un fracasso di vecchie sirene già consumate in chissà quante traghettate su e gù per gli oceani.  [...] Il 24 dicembre, di mattino, il capitano della nave ci informò dalla torre radio che eravamo in vicinanza della Linea del Tropico del Cancro. In sala mensa gli inservienti ci dissero che i cuochi stavano preparando la cena di Natale e che poi avremmo ballato con le fisarmoniche e le chitarre del quintetto Dolce Romagna. Si capì dal cenone che il Castelverde era proprio un baraccone di quarta serie che più di un risotto con gamberi surgelati, qualche polpetta impananta alla milanese e una fetta di panettone non poteva passare nel Menu di Natale" (Natale sull'Oceano)

A Caracas lo aspetta Fiorino Barretta, il quale nel 1950 dà vita a "El progreso-Il progresso" giornale italo-venezuelano pensato per la comunità italiana. Alla direzione è chiamato proprio Concarotti. E per una decina di anni Enio scriverà numerosi articoli e splendidi reportage da luoghi inesplorati, raccontando in particolare la vita della comunità emiliano romagnola.

Naturalmente il cronista mostra un'attenzione particolare alle storie dei suoi conterranei, dei quali restituisce le vicende e soprattutto i sentimenti. Il sentimento prevalente? La nostalgia: "Quasi tutti malati di nostalgia la colonia piacentina in Venezuela", come avrà modo di scrivere in un articolo pubblicato su "Libertà" del 28 gennaio 1956.  In questo articolo Concarotti ricorda proprio Barretta che:

"ha un pallino fisso: ritornare a Piacenza, sedersi al Barino in una splendida mattinata di maggio e sorbirsi tranquillamente il caffè mentre passano e ripassano sul Largo Battisti le inconfondibili belle ragazze di Piacenza. E poi più avanti, in luglio ed agosto, andar su per la Val Trebbia o la Val d'Arda e mangiare pane e coppa e bere il vino bianco. Ha il cuore avvolto in fette di nostalgia spesse così. Gli è rimasta addosso una Piacenza minuta e popolana, con le sue macchiette popolari di un tempo, figure e luoghi pittoreschi che furono"

Gli emigrati piacentini incontrati da Concarotti sono tanti. Al Grand Hotel Tamanaco di Caracas, con forbici e pettini, abilmente lavora Antonio Fontana, "maestro della sala Peluchera" del prestigioso hotel, dove passano personaggi famosissimi. Enio è spesso ospite a casa Fontana ove la moglie cucina ancora tutto piacentino: dal tipico tris turtei-anvei-pisarei e faso alla picula d caval, dai lessi con la salsina piccantina di peperoni alla nostrana crostata di mele. In queste occasioni conviviali entrano

"ricordi di gente, fatti, avvenimenti, episodi, scampoli di vita di una Piacenza che sembrava rivivere tra noi, lì, servita a tavola. Ricordarlo è come ricostruire anni di un'avventurosa emigrazione in Venezuela confortata, però, da grandi e sinceri amici come lui. Giocare a casa sua a briscolaetresette e ascoltarlo mentre recitava qualche poesia di Faustini e Carella annullava il senso geografico della lontananza transoceanica, del momento di vita ai Tropici della nostra condizione di emigranti in giro per il mondo. Era come trovarsi a Piacenza in un confidenziale ed amichevole incontro che lui arricchiva con quella sua eccezionale capacità di arguzia e di buon umorismo" (Il barbiere Antonio Fontana)

Nel dicembre 1955 è a Caracas il celebre tenore piacentino Gianni Poggi. Dopo una rappresentazione l'artista è ospite a casa di suoi concittadini. Si parla di musica, ma anche di cucina. E dal momento che uno dei convitati non si ricordava il gusto degli agnolotti (probabilmente anolini) Gianni Poggi senza "alcuna esitazione ha infilato un grembiule e facendo un ampio uso di un pezzo di formaggio nostrano che aveva portato con sè da Piacenza si è improvvisato cuoco, confezionando, a mano, i classici agnolotti piacentini che gli hanno permesso di riscuotere, anche nell'arte culinaria, un altro entusiastico e commovente consenso".

Anolini e tortelli sono i protagonisti di un altro Natale, passato da una ventina di emigrati piacentini presso Cesarina, che

"è un donnino di Caorso che ha messo su una piccola trattoria sull'Avenida Andres Bello e fa quei tortelli con la coda che, secondo il nostro poeta dialettale Valente Faustini, sono il "conforto della vitta". Sul far della mezzanotte arriva una zuppiera fumante e l'atmosfera si carica di nostalgite acuta che è quella dolcissima ed inguaribile malattia strappacuori che colpisce tutti gli emigranti in giro per il mondo a cercare lavoro, un po' di fortuna e  di buon destino" (Una pietosa bugia)

Dopo nove anni dalla partenza (Natale 1949) nel Natale 1958 Enio è a Cucuta sul confine Colombia-Venezuela. Con la sua Fiat 1100 carta zucchero-tettuccio bianco percorre l'immensa pianura.  E a Cucuta incontra diversi italiani che lavorano con vecchie giostre rottamate importate dall'Italia.

"La più bella e sgargiante la fa girare un piacentino della Val Trebbia, in anagrafie Italo Fossati ma più semplicemente Italo ad la Preda per un compaesano come me che lo ricorda ragazzo nato e cresciuto sulla costiera di serpentino nero che dalla Pietra Parcellara frana giù verso Donceto. Lo trovo in una quinta  spagnola del Seicento, una scatolina di legno a un solo piano, tutta verniciata con una lacca celeste tenera e chiara come il mantello della Madonna del Rosario [...]. Vive qui da dodici anni e sulla faccia rotonda e rustica gli sono cresciuti dei baffetti un po' spalvaldi alla Zorro. Mi accoglie sbalordito ed emozionato, con la festosa meraviglia di chi di colpo ritrova una già lontana memoria della sua terra, della sua gente, della sua gioventù. Passiamo il pomeriggio lui che parla perchè è da molto tempo che ammucchia su anni e anni di nostaglia e io che l'ascolto perchè semplice recluta del Sud America con soli tre timbri sul passaporto. Racconta perchè è venuto via dalla Val Trebbia subito dopo la guerra, che vita ha fatto fin qui, il giostraio con scarti di luna Park smontati in Italia, ribullonati e riverniciati qui, tutto con le sue mani. Si tira a galla i giorni di mercato e di fiera in piazza a Perino, a Travo e a Bobbio, le serate sulle balere col Miliu Barabaschi a fasmarmonica scatenata sulla mazurka di Migliavacca, gli agguati alle volpi tra i sassi della Pietra e alle trote nei lagoni profondi di Ponte Barberino, le bevute di bianco nelle case vignaiole di Donceto e della Pagliaia".  

Italo, che abita un in una casetta celeste, cucina per Enio spaghetti al pomodoro ed enormi bistecche di ganado alla placia. Ma, in quel Natale 1958, quanta nostalgia della madre e dei suoi anvei in brodo di gallina! (Una notte dipinta da Chagall)

Negli anni Sessanta, Enio ritornerà a Piacenza per dirigere il settimanale "Piacenza Oggi". Dagli anni Settanta si afferma come una storica firma del quotidiano "Libertà," segnando, con libri, articoli e recensioni, la storia culturale di Piacenza di quegli anni. Sposato con  AnnaMaria Torre dal matrimonio è nata MariaElena, che ha contribuito alla raccolta di questa testimonianza.

Enio Concarotti muore a Piacenza il 25 dicembre 2010.


I brani citati nel testo sono tratti dai volumi L'uomo che inventò anche se stesso, Piacenza, Tipleco, 2003 (Natale sull'Oceano e Una notte dipinta da Chagall); Ultimi scritti e bibliografia di Enio Concarotti (1949-2010), Piacenza, Lir, 2014 (Una bella e necessaria bugia e Il barbiere Antonio Fontana).


Fonte: Materiale di Maria Elena Concarotti, raccolto per MIGRER all'interno del progetto "La Pasta in valigia" coordinato dal Comune di Piacenza con il contributo della Consulta ER nel mondo, grazie alla collaborazione della Biblioteca Comunale Passerini-Landi.

 

Progetto

Titolo: "La Pasta in valigia: percorso storico-gastronomico sulle rotte dell'emigrazione piacentina" 

L'obiettivo del progetto è stato quello di ricostruire il ruolo, storicamente rilevante, svolto dagli emigrati del territorio emiliano-romagnolo nella “diffusione” del cibo, della cultura e delle pratiche alimentari regionali all'estero. Nella storia di queste esperienze migratorie entrano gestori di trattorie, dettaglianti, grossisti, titolari di negozi di quartiere che fornivano alle famiglie immigrate prodotti di consumo, ma anche una fondamentale presenza attorno alla quale cresceva la vita sociale della comunità. Fu proprio questa rete - che il progetto intende ricomporre anche attraverso la raccolta di ricordi e testimonianze delle famiglie di emigrati - a mantenere viva la tradizione della cucina familiare.

L’abilità nella trasformazione del cibo e il ricordo di ricette di famiglia davano la possibilità a chi era partito di mettere a frutto i saperi e le conoscenze della propria terra e a chi non era mai stato nel nostro paese - le generazioni successive - di poter fare, anche a tavola, “esperienza” dell’Italia.

Partner: AS.PA.PI. Associazione di Parma e Piacenza (Francia), Nuove generazioni TERRA Mar del Plata (Argentina), Piacenza nel Mondo APS (Italia)

TESTIMONIANZE E PERSONAGGI