Mio padre Egisto Salsi, nasce a Polinago il 5 marzo 1935. L'11 novembre 1946 parte per il Belgio insieme alla madre Elisa Zecchini, classe 1910, originaria di Lama Mocogno, la sorellina Maria e fratellino Natale. Mio padre inizia a lavorare presso la miniera di carbone di Zolder, nel Limburgo Belga, nel 1949.
Nell'articolo di approfondimento (vedi sotto) trovate la sua storia, nata da differenti interviste, che poi sono state pubblicate nella mia tesi di laurea e in seguito, pubblicata dalla casa editrice Pendragon, di Bologna.
La storia di mio padre Egisto, è una storia di molte storie, di migrazioni verso l'estero, in cerca di fortuna.
Mio padre è arrivato in Belgio che era ancora un bambino, insieme a sua madre e sua sorella più piccola. Era nato nel 1935 in un piccolo paese di montagna, nella provincia di Modena, ai confini della provincia di Lucca. Il luogo si chiama Polinago. La situazione economica ai tempi era difficile, si stava avvicinando la Seconda Guerra Mondiale, e nulla faceva pensare che alla fine della guerra i suoi si sarebbero trasferiti in Belgio (Sonia Salsi, pp. 102-104).
Vorrei sottolineare alcuni particolari interessanti che hanno reso l’intervista a mio padre esemplare: nel suo raccontare parla come se parlasse di un’altra persona, pone l’accento su una rappresentazione collettiva degli italiani come se lui fosse il portavoce, vorrei precisare che avendo lavorato come sindacalista, aveva toccato con mano la vita difficoltosa degli altri italiani a Lindeman. Conosceva molto bene le problematiche delle condizioni abitative, il lavoro in miniera, il “duro” lavoro come lo definiva lui. Iniziò a lavorare quando aveva appena 14 anni, ancora un bambino insieme agli altri più grandi.
La situazione in cui descrive la paura di scendere in miniera mi ha particolarmente colpito, mai prima dell’intervista sono stata così confidenziale con lui. Ho sempre ritenuto mio padre un uomo emotivamente molto forte, in virtù del suo vissuto. Ha lasciato intravedere il suo lato sentimentale solo negli attimi quando parla di sua madre Elisa Zecchini, la sua espressione era carica di dolore, mia nonna l’ha lasciato da solo a Lindeman per trasferirsi con suo marito e gli altri 4 figli a Hornu (Mons nel sud del Belgio). (Sonia Salsi, pp. 119-120)
Attraverso la narrazione biografica mio padre Egisto Salsi si è aperto una nuova vita e ha rimodellato, ricucito, rimesso in scena la sua esperienza biografica. Le tappe delle interviste sono state diverse, di volta in volta emergevano nuovi spunti di riflessione, ma anche di attimi di silenzio, come se scovasse nella propria mente nuovi episodi da ri-raccontare, a volte si emozionava ricordando sua madre, sola con i figli, in partenza, alla stazione di Milano, a Basilea, tentando come lui stesso mi raccontava, di rassicurare i suoi figli, chiedendo loro di non avere paura, che “lei”, la mamma c’era. La costruzione identitaria di mio padre è avvenuta attraverso una serie di “performances orali” in cui lui stesso ad ogni incontro assunse stati emotivi diversi.
Per contro, che cosa accade nella narrazione biografica? Per rispondere a tale quesito è necessario riflettere su chi ‘si dà’ queste narrazioni. La storia della disciplina ci insegna come chi si presti a narrare la propria vita, a ricostruirla, a ‘ricucirla’ attraverso la rievocazione e il ricordo siano soprattutto coloro che concretamente hanno esperito, volontariamente o involontariamente, lo spostamento, il viaggio, l’esperienza della ‘rottura’ con la tradizione, a livello identitario e spaziale. Attraverso il percorso biografico gli individui che concretamente hanno vissuto sempre “tra” luoghi, culture e lingue, riescono a crearsi una nicchia in cui “ricompattare” ogni spostamento, ogni percorso; ove preservare esperienze, lingue, dialetti, ove “abitare-nel-villaggio (Clifford, 1999, 39), ove riconoscersi, rinnegarsi e riplasmarsi. Il ‘rituale della narrazione’ si è rivelato particolarmente attento ai processi di costruzione culturale a quelli che venivano chiamati “processi di acculturazione”, ed in particolare a quelli identitari; le storie di vita, nelle discipline etno-antropologiche, hanno sovente mostrato le fratture, le contaminazioni, le stratificazioni (Franceschi, in Destro, 2004, 151-152). Ho cercato dunque, prima attraverso l’ascolto e poi attraverso la ri-scrittura, di interpretare così la storia di vita di mio padre e degli abitanti intervistati a Lindeman.
Ci tengo a precisare che la storia della mia famiglia è la storia di tutti gli migranti partiti dall’Italia verso il Belgio: mio nonno partì insieme ad altri uomini soli, incontrandosi in viaggio con dei perfetti sconosciuti, verso l’ignoto, non sapendo a priori quali sarebbero state le vere condizioni di vita, alloggi e lavoro. Le persone intervistate, uomini e donne, sono tutte persone che io conosco personalmente, storie che ho sentito dire e raccontare da sempre. La mia storia vorrebbe essere un esempio che vale per tutti gli abitanti di Lindeman.
Fonte: storia condivisa da Sonia Salsi direttamente su Migrer - pagina "Aggiungi la tua storia"
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