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Dalle torri ai grattacieli, il pittore nato a Bologna nel 1883, partecipò a New York - unico italiano - alla rivoluzionaria mostra dell’Armory Show del 1913 orientandosi verso il futurismo

Verticalità della skyline, vertigine visiva, réclame multicolori: la New York d’inizio Novecento era per gli emigrati più sensibili anche un ideale estetico. Athos Casarini ci arriva da Bologna nel 1909 per raggiungere il fratello Alberto, redattore del quotidiano Il Progresso Italo-Americano. Ha 26 anni ed è fresco di studi d’arte. Due anni prima, il mondo era diventato più piccolo grazie al primo servizio radiotelegrafico pubblico tra Europa e Nord America, figlio delle scoperte del suo concittadino Guglielmo Marconi. In questo clima di effervescenza scientifica e culturale Casarini si cala completamente, inebriato dalla metropoli, dal suo dinamismo, dal senso dal senso di ansia e di fretta che ai suoi occhi rappresenta la cifra della modernità, mentre la placida Bologna dai mattoni rossi sembra vivere ancora nell'Ottocento.

New York è la musa di Casarini. Ad attrarlo sono il fumo delle ciminiere e il rumore dei rimorchiatori che attraccano a East River, le geometrie delle scalette antincendio, le insegne luminose, le luci scintillanti, i puntini gialli delle finestre accese nei grattacieli di Manhattan, visti dal suo studio in Poplar Street, nel quartiere di Brooklyn. Athos si mette subito in mostra come disegnatore satirico dotato di un segno elegante. Collabora a giornali e riviste quali Post-Dispatch, New York World, Harper's Weekly, Coller's, e aderisce prontamente al movimento futurista, nato nel 1909 con il "Manifesto" di Marinetti. Saranno anzi lui e l’amico Joseph Stella ad introdurre a New York il futurismo, orgogliosi delle novità giunte – una volta tanto – dall’Italia. Marinetti ricambierà definendo Casarini “il pittore futurista italiano d’America”. Innovativo nel campo del manifesto pubblicitario, di cui può considerarsi uno dei padri, si tiene in contatto con Mario Pozzati, altro gigante del cartellonismo, che nella sua Bologna aderisce all’avanguardia futurista con segni veloci e duri. Nel 1910, grazie all’interessamento del tenore Caruso, il giovane Casarini ottiene una personale presso la prestigiosa Knoedler Gallery in Fifth Avenue. Nel 1912 il suo dipinto "New York seen from Brooklyn" è la copertina di Harper's Weekly e nel 1914 The World Magazine gli dedica un ampio articolo. In mezzo c’è la partecipazione alla famosa esposizione dell’Armory Show nel 1913, unico italiano tra più di mille artisti europei e americani. Sempre nel 1914, Casarini viene invitato a esporre al Salon d’Automne a Parigi. Ma nel 1915 scoppia la guerra e lui, futurista e nazionalista, vuole essere coerente con le sue idee.

Il 14 agosto si imbarca sul “Duca d’Aosta” per tornare in Italia e arruolarsi volontario come sottotenente.

“Dopo sei anni di residenza in questa grande, futurista città di New York, ritorno al mio paese, fortificato dal ferro che ho respirato in questa eccitante atmosfera”, scrive.

L’ultima sua immagine americana è quella che lo ritrae su un giornale in una galleria di celebrità, accanto alla foto di Edgar Lee Masters, con la didascalia: "Athos Casarini. New York artist, now a liutenent in Italy's army". Come Boccioni, cercava l’azione, l’esaltazione interventista, e trovò invece la morte, il 12 settembre 1917 in una trincea sul Carso.

Vent’anni dopo a Bologna, in occasione di una sua mostra postuma, sarà Marinetti a celebrare la sua “sintassi vigorosamente italiana” capace di “riassumere la mastodontica città” di New York.


Fonte: Materiale prodotto all'interno del progetto culturale "Casa della memoria dell'emigrazione dell'Emilia-Romagna" promosso dalla Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo e realizzato in seguito alla richiesta dei giovani corregionali nella Conferenza di Buenos Aires del 2007.

 

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