Artémides Zatti, beato dal 14 aprile 2002, è forse l’uomo più apprezzato e ricordato dai vecchi della città argentina di Viedma, in Patagonia. Tra loro, una radice comune: l’Italia. Ma non è solo questa la ragione dell’amore che i "viedmenses" hanno ancora per Artémides, chiamato "l’infermiere santo della Patagonia", già molto tempo prima della proclamazione a Beato del Vaticano. A conquistare la gente è stato il suo operato, tutta una vita dedicata agli ammalati di una terra che all’inizio del XX secolo, quando lui giunse dall’Italia, era l’ultimo luogo popolato nel Sud dell’Argentina. La storia del Beato parte dalla città di Boretto, detta lo "smeraldo del Po" e si conclude su un altro fiume, il Rio Negro. Nato a Boretto, in provincia di Reggio Emilia il 12 ottobre 1880, Artémides lasciò l’Italia a 16 anni insieme alla sua famiglia. Grande lavoratore, dall’età di 9 anni aiutava suo padre contadino a portare a casa il cibo per i suoi sette fratelli. A causa della crisi economica in Italia nel 1897, la famiglia decise di partire per l’Argentina, dove già si trovava un parente.
A 19 anni, Artémides entrò nel seminario salesiano di Buenos Aires per diventare prete, ma si ammalò di tubercolosi. Lasciò quindi la carriera "ufficiale" di sacerdote e si trasferì a Viedma nel 1902, per recuperare la salute. In questo luogo fece una promessa alla Vergine Maria in cambio della guarigione: avrebbe aiutato tutti gli ammalati e i poveri che venivano a chiedere il suo aiuto. Ufficialmente non era prete, né medico, né infermiere, ma riusciva ad essere tutte e tre le cose insieme. "In realtà, era un angelo", dice ancora la gente. L’angelo in bicicletta.
Quando i vecchi si mettono a parlare di "Don Zatti", sembra quasi di vederlo, a cavallo della sua bicicletta, con il camice bianco, per le strade della piccola città: la gioia sul suo viso come formula contro il dolore. "La bicicletta mi permette di arrivare da tutti", diceva Zatti, sempre pensando a una realtà rurale, dove non si hanno i mezzi di trasporto e spesso neanche le strade. Si racconta che anche se gli si rompeva un pedale lui andava lo stesso a fare le sue visite con uno solo. Era anche il responsabile dell’unico ospedale che assisteva i malati di tutta la regione, e inoltre aveva seguito un corso da farmacista per permettere alla farmacia locale di rimanere aperta, in mancanza di personale specializzato. Si occupava solo degli altri e non di se stesso e per questo era chiamato anche "il parente dei poveri". Quando un ammalato era grave, si coricava al suo fianco, anche sul pavimento, per fargli compagnia fino alla fine. Una volta, un medico gli chiese come faceva ad essere sempre di buon umore, e lui rispose: "E’ facile: inghiottendo amaro e sputando dolce".
Per non dare troppo lavoro ai medici si incaricò perfino della propria morte: scrisse il proprio certificato medico di decesso a causa di epatite, in cui mancava solo la data. Era il 15 marzo 1951. Oggi, a Viedma, una delle strade principali della città porta il nome di Artémides Zatti. Anche l’ospedale pubblico è intitolato a lui. All’angolo della strada dove è l’ospedale, un monumento del beato testimonia l’affetto di un popolo che gli è ancora grato.
Fonte: Testimonianza di Rebeca Belloso Lazzarini (Viedma – Argentina). Materiale prodotto all'interno del progetto culturale "Casa della memoria dell'emigrazione dell'Emilia-Romagna" promosso dalla Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo e realizzato in seguito alla richiesta dei giovani corregionali nella Conferenza di Buenos Aires del 2007.