Nacque dal Celso, ex ufficiale napoleonico di origine piemontese, e da Marianna Lombardini. Orfano presto di madre, dal padre, che inseguiva il mito della rivoluzione a fianco dei Greci insorti, fu affidato a uno zio materno che ne curò la prima educazione.
Da giovane, fuggitivo in Toscana e poi esule a Marsiglia e in Corsica, sull’esempio di L.A. Melegari, che aveva organizzato la congrega mazziniana di Parma, si affiliò alla Giovine Italia col nome di battaglia di Procida. Entrò subito in uno stato di ulteriore esaltazione che lo rese insofferente di ogni indugio e che, parallelamente alla sanguinosa repressione antimazziniana che intanto aveva luogo in Piemonte, gli fece concepire l’idea di un gesto dimostrativo che suonasse come principio di rivolta per tutta la penisola. Maturò così in lui il progetto di un attentato al re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia e, per attuarlo, chiese e ottenne di poter passare in Francia meridionale (luglio 1833). Da Tolone il Gallenga si recò a Ginevra e vi incontrò Mazzini al quale strappò un sostegno organizzativo al proprio disegno. Una volta a Torino, però, vuoi per l’oggettiva difficoltà dell’esecuzione, vuoi per l’insostenibile peso di una responsabilità assunta troppo precipitosamente, il coraggio gli venne meno: riguadagnata per la via di Genova la Toscana (ottobre 1833), Gallenga si portò ancora più a sud nella primavera del 1834 quando, assunto come precettore di un giovane diplomatico napoletano, lo seguì a Malta e poi a Tangeri, dove restò fino all’estate del 1836.
L’intraprendenza, la personalità, una certa comunicativa e una cultura fatta di assidue letture e di viaggi nei paesi del Mediterraneo costituirono in questi anni la sua principale risorsa, ma non placarono l’ansia che pareva tormentarlo facendogli desiderare sempre nuove mete.
Quella che scelse nell’agosto del 1836 imbarcandosi a Gibilterra era tra le più lontane possibili: sbarcato infatti a New York il 7 ottobre, si stabilì a Boston ove si servì delle commendatizie fornitegli da un diplomatico americano per entrare nel giro degli intellettuali, particolarmente sensibili, grazie all’influsso di H.W. Longfellow e di R.W. Emerson, al fascino della classicità e dunque ben disposti verso la cultura europea e i suoi rappresentanti.
Impadronitosi presto della lingua, Gallenga strinse molti contatti (a esempio con lo storico W.H. Prescott), sebbene non giungesse mai a integrarsi in pieno in un ambiente che, pur accettandolo, non soddisfece la sua aspirazione a ottenere una cattedra di italiano a Harvard.
Nel 1838 uscì a Cambridge un suo volume di Romanze, novelle in versi da cantare sulle arie del melodramma, genere col quale le Romanze hanno in comune l’impronta passionale e il timbro stilistico, nonché la propensione a fissare uno stereotipo di facile godibilità e consumo.
Il 1° maggio 1839 Gallenga si risolse al ritorno e, imbarcatosi a New York, un mese dopo era a Londra. Tra il 1839 e il 1841 il Metropolitan Magazine, la Foreign and Quarterly Review, la Westminster Review e la British and Foreign Review ospitarono moltissimi suoi articoli. Firmati con lo pseudonimo Luigi Mariotti, che Gallenga aveva adottato all’inizio dell’esilio e che conservò fin verso il 1853, toccarono svariati argomenti, sebbene il tema fosse in realtà uno solo: quello dell’Italia e dei suoi travagli visti da un esule (tale elemento è sempre sottolineato nei titoli) attraverso il prisma, talora impressionistico, di un imprescindibile rapporto tra storia, vita civile e letteratura. Rielaborati e fusi in un disegno più ampio, furono poi pubblicati col titolo "Italy , general view of its history and literature" (I-II, London, 1841; ma vide la luce anche una ristampa intitolata Italy, past and present, London, 1841, e, in traduzione tedesca, Lipsia, 1846).
Contemporaneamente, dopo una rapida riapparizione a Firenze nella primavera del 1840, iniziarono le collaborazioni ad alcune riviste di G.P. Vieusseux: nel complesso quella di Gallenga era un’esistenza che non conosceva soste ma che continuava a lasciare irrealizzata la speranza di un incarico di prestigio in ambito accademico.
All’inizio del 1842 tornò nel Nordamerica, attrattovi dalla promessa di una cattedra di lingue e letterature moderne a Windsor, nella Nuova Scozia, ma dopo un solo anno, deluso dal livello del college, si dimise.
Al ritorno a Londra lo attendeva la solita vita di sacrifici. Poco gratificato sul piano economico dall’attività pubblicistica, Gallenga conseguì invece un buon successo sociale grazie alla naturalezza con cui si muoveva, avendo ormai interiorizzato comportamenti e modi di pensare assai vicini a quelli inglesi.
Lo riportò a uno stato d’animo più militante l’evoluzione interna dell’Italia prequarantottesca, che gli ispirò un nuovo "Italy, past and present" (I-II, London, 1848), in cui, nella ripresa di tematiche e impostazioni svolte a partire dal 1843 in una serie di articoli per il New Monthly Magazine di Londra, la novità è rappresentata dal rilievo che nello sviluppo della civiltà italiana è assegnato al Mazzini e al suo principio di nazionalità.
A Londra, mentre trovava un posto di docente al London University College (vi insegnò per circa un decennio, fino al 1859) e lavorava a una grammatica italiana che, uscita nel 1851, venne ripubblicata nel 1854 col titolo di Mariotti’s Italian Grammar (ebbe ben quattordici edizioni fino al 1883), elaborò anche un progetto pubblicistico che, tenendo d’occhio la situazione interna del Piemonte, puntava in sostanza a rafforzarne la posizione internazionale e a rappresentarne gli ultimi sviluppi costituzionali come la base per una futura politica nazionale. Così, dopo la pubblicazione di una Historical memoir of fra Dolcino and his times (Londra, 1853), di evidente intonazione antiromana, apparve la ben più impegnativa History of Piedmont (I-III, London, 1855-1856; traduzione italiana Storia del Piemonte dai primi tempi alla pace di Parigi del 30 marzo 1856, I-II, Torino, 1856): molto apprezzata negli ambienti governativi torinesi che avevano, su invito del Cavour, facilitato le ricerche di Gallenga, l’opera fu giudicata dalla democrazia repubblicana come il lavoro di un uomo che si era venduto alla causa monarchica.
Fonte: sito Valcenostoria.it