Mio padre (Geraldo Arfelli) ricorda che i cappelletti in brodo, come richiede la tradizione culinaria, erano così buoni che finirono subito: fu un vero successo.
Fino a ventisette anni, sapevo solo che in nonno (Cesare Arfelli) era italiano, ma niente di più. Non sapevo di quale regione, provincia e città fosse originario, e nemmeno quando la famiglia era sbarcata in Brasile.
Ho alcuni vaghi ricordi del nonno Cesarino, com'era chiamato, già molto debilitato da un ictus cerebrale che non gli permetteva più di parlare correttamente. Parlava mescolando il portoghese e l’italiano, e io non riuscivo a capire bene le sue parole. Morì quando avevo sete anni.
Fino ad una certa età, non erro molto attratto dalle storie familiari. Oggi mi dispiace tanto di questa disattenzione e darei un mondo per ritornare indietro e godere di più della convivenza con i parenti più anziani, con il nonno Cesarino e con miei zii, dai quali avrei potuto ascoltare dei fatti che hanno segnato la storia e il percorso della mia famiglia in Brasile.
A quindici anni di età, nel 1979, ho lasciato Presidente Venceslau, la piccola città nell’entroterra della Regione (Stato) di San Paolo, per andare a studiare a San Paolo presso all’Accademia della Polizia Militare del Barro Branco (Scuola dei ufficiale carabinieri). Dopo aver concluso il corso di Formazione degli Ufficiali della Polizia Militare, superai l’esame di ammissione ed entrai nella tradizionale e prestigiosa Facoltà di Diritto del Largo San Francesco della nota Università di San Paolo (USP).
Dal punto di vista formativo era un mutamento radicale, poiché mentre la formazione all’Accademia di Polizia Militare, soprattutto nel periodo in cui l’ho frequentata, dal 1979 al 1983, era legalitaria, ma al servizio del potere politico dominante, che era una dittatura militare. Tuttavia la Facoltà di Diritto dell’USP che frequentavo era una culla degli ideali democratici e dello Stato di Diritto, e lo è tuttora. Erro orgoglioso di poter studiare in una facoltà tradizionale, capace di formare dei leader e culla di politici, artisti, giuristi e intellettuali del Brasile. Alcuni di loro occupano uno spazio impostante della storia brasiliana e non hanno mai cessato di indignarsi di fronte alle ingiustizie del proprio tempo.
Da questa Facoltà di Diritto, dai suoi studenti e dai Giovani che ci si sono laureati o frequentati, sono nati i principali movimenti politici della storia del Brasile, a partire dall’abolizionismo e dal movimento repubblicano di Prudente de Moraes, sono addirittura usciti nove Presidenti della Repubblica, vari governatori, sindaci e altre innumerevoli autorità.
All’epoca del mio ingresso alla facoltà, stava finendo la dittatura militare in Brasile, e, tutti lottavano per il ritorno alla democrazia richiedendo elezioni dirette per il Presidente della Repubblica.
L’interesse per la scoperta delle mie origini è nato praticamente in questo periodo, nel momento in cui, nel 1984, frequentando il primo anno della Facoltà di Diritto, e, ormai Tenente della Polizia Militare, ho conosciuto Cristina, che sarebbe diventata poi mia moglie.
Cristina è di origine italiana (toscana) da parte di madre. La nonna Virginia, ancora viva a quel tempo, era di un movimento migratorio più recente rispetto alla mia famiglia. Era venuta in Brasile assieme al marito nel 1920, per lavorare nelle industrie Matarazzo, un oriundo italiano che aveva davvero realizzato il sogno di Fare l’America.
La famiglia di Cristina, arrivata in Brasile una generazione dopo la mia, non ha mai perso il contato con i propri parenti in Italia.
Dico sempre, ed è la pura verità, che devo il mio sentimento di italianità a Cristina, perché ha fato nascere in me l’interesse e la curiosità per la cultura italiana. Sentivo una invidia ( sana però), per il fato che la famiglia di Cristina aveva mantenuto con i parenti italiani una relazione di amicizia e di amore molto più che parentale. Erano abituali le telefonate, l'invio di regali e le visite tra di loro.
Sentivo da Cristina le storie sui parenti e sulla loro vita in Italia, e questi racconti aumentavano mia voglia a ricostruire la storia della mia famiglia.
Mi sono sposato con Cristina nel 1987, durante il corso di diritto all’Università. Nello stesso anno è nata Beatrice, che è addirittura laureata alla stessa Università e fa avvocato, é Direttrice Giuridica di una ditta che produce energia in Brasile. Lei manifesta un vivo interesse per l’Italia e l’orgoglio di mantenere vivi in famiglia i vincoli con le nostre origini.
Nel 1990, dopo la promulgazione della nuova Costituzione della Repubblica Federale del Brasile del 1988, è stato superato il dubbio giuridico sulla possibilità di avere riconosciuta la cittadinanza italiana senza la perdita di quella brasiliana. Diversi oriundi hanno cominciato allora a raccogliere i documenti dei propri ascendenti per avviare la pratica di riconoscimento della cittadinanza italiana.
Per la famiglia di Cristina era facile, poiché la nonna Virginia era ancora viva. Possedevano i documenti occorrenti e non avevano mai perso il legame con l’Italia. Per quanto mi riguarda il primo ostacolo era quello di ottenere il certificato di nascita del mio nonno paterno, perché la cittadinanza si trasmette, in generale, appunto per questa via.
Come la maggioranza dei paesi di emigrazione, l’Italia adotta lo ius sanguinis quali criterio prevalente per l'attribuzione della nazionalità. Si considera italiano o cittadino italiano, la persona che discende da un italiano. Quindi chi nasce in Italia e non sia discendente di italiani, solo in casi eccezionali avrà la cittadinanza italiana.
Il Brasile, al contrario, ha nel principio dello ius soli il criterio prevalente per l’attribuzione della nazionalità. Sarà brasiliano chi nasce nel territorio nazionale, e non importa se i genitori siano brasiliani o stranieri. Il criterio dello ius sanguinis è seguito in Brasile per i figli dei brasiliani che siano nati all’estero. In conseguenza del criterio adottato dalla legislazione italiana, tutti gli oriundi sono considerati cittadini italiani fin dalla nascita.
Per la maggioranza dei brasiliani discendenti da italiani, occorre la pratica per attestare la discendenza, alla fine del quale viene riconosciuta la cittadinanza italiana. Il brasiliano che ha il riconoscimento della cittadinanza italiana non perde quella brasiliana.
Data questa situazione legislativa, la sfida che avevo di fronte era la scoperta del comune dov’era nato il nonno Cesarino. Mio padre non ne sapeva nulla. Una volta disse addirittura che era Roma. Forse perché era il primo nome che gli venne in mente. Cominciai ad analizzare i documenti disponibili riguardanti al mio nonno e partendo dal certificato di morte scoprii che si era sposato ad Araraquara, anche una città dell’entroterra della Regione di San Paolo. Telefonai al funzionario dell’archivio del registro civile (anagrafe) di Araraquara, chiedendogli di verificare se nella documentazione della pratica del matrimonio del nonno c’era qualche informazione sulla città in cui era nato. Il responsabile mi disse che c’era il nome di una città, ma dalla cattiva scrittura dell’epoca, non riusciva a decifrarlo: Mi rispose che sembrava essere Furli, Fiulo o Fruli . Nella mia ignoranza, pensando che bastasse avere un documento che certificasse la nascita in una città italiana, presi una cartina dell’Italia e vedendo una ragione con il nome Friuli, disse: Scriva Friuli.
Pochi giorni dopo, mio padre mi ha consigliato mettermi in contato con la cugina Diva Arfelli, figlia di Natale, fratello del nonno che aveva nato in Brasile, poco dopo l’arrivo della famiglia. Lui era sempre stato in compagnia di suo fratello e, fino alla sua morte, della mamma Filomena Bondi (mia bisnonna).
Diva seppe dirmi che il nome della città di nascita de Cesarino Arfelli non era Friuli, ma Forlì, città che aveva lasciato a sete anni, emigrando con la famiglia in Brasile. Diva aveva addirittura dei documenti relativi alla situazione della famiglia di Antonio Arfelli, il mio bisnonno. Vedendo la documentazione, ebbi anche la sorpresa di notare che il nonno si chiamava Cesare e non Cezarino, come risultava dai suoi certificati di matrimonio e di morte.
In Brasile, le alterazioni di nomi e cognome erano molto comuni, sia per le difficoltà di comunicazione al momento dell’arrivo degli immigranti, per lo più privi di documenti, sai per il grande numero di immigrati che impediva agli impiegati di realizzare efficienti servizi di registrazione e di accoglienza. Dall’altra parte la tendenza naturale degli impiegati era di tradurre al portoghese i nomi degli immigrati: Giuseppe diventava Josè , Giulio , Júlio, Gioachino, Joaquim, Paolo, Paulo, Giovanni, João e così via.
Scoperta la città natale del nonno, scrissi immediatamente all’Anagrafe di Forlì, che mi spedì subitamente il certificato di nascita del nonno Cesare e il documento riguardante al gruppo familiare (situazione famiglia).
Cominciava a svelarsi la parte sconosciuta della storia della mia famiglia. Solo allora ho scoperto i nomi delle sorelle del nonno e il nome del bisnonno.
La raccolta dei documenti per il riconoscimento della cittadinanza italiana ha costituito un primo passo per la scoperto delle mie origini e per risvegliare l ama mia romagnolità, mentre la mia italianità si stava già sviluppando da alcuni anni con la conoscenza dei familiari toscani di Cristina.
Dopo l’integrazione della documentazione occorrenti, che ha richiesto passaggi burocratici e costi non lievi, tutti noi siamo diventati cittadini italiani, il babbo Geraldo Arfelli, la mamma Deyse Chaves Arfelli, mio fratello Silvio Luiz, i suoi due figli, io e i miei figli Beatrice e Danilo. Mia moglie Cristina lo era già.
Eravamo fieri di questo, ma al tempo stesso, sentivo quasi come una vergogna il fato di sapere pochissimo della mostra terra di origine e di non conoscere la lingua italiana. D’altra parte bisogna riconoscere che l’Italia è stata sempre lontana dai suoi figli dispersi nel mondo, soprattutto per la mancanza di una politica che tenesse conto con maggiore affetto coloro che, essendo praticamente costretti a lasciare la propria terra, le permisero di diventare un paese più ricco e sviluppato. C’era quindi fra gli oriundi un sentimento misto di nostalgia e allo stesso tempo di tristezza di fronte all’abbandono della madre patria.
L’Italia è stata per molto tempo assente dalla realtà di molti italiani e loro discendenti che vivono in Brasile, e ancora oggi è sostanzialmente lontana. Manca, davvero, una politica che renda possibile una disponibilità di informazione e di sostegno allo studio della lingua italiana. Non c’è in sostanza, la presenza che sarebbe necessaria nella vita degli oriundi, che in realtà devono arrangiarsi per sapere ciò che l’Italia può offrire loro.
A questo punto del mio cammino di italianità ho sentito la necessità di imparare la lingua. La mia prima insegnate di italiano è stata Cristina, che del resto ha seguito fino alt terzo anno il corso della Facoltà di Lingua e Letteratura Italiana presso l’Università di San Paolo, ma come si usa dire “ il santo di casa non fa miracoli”, ho dovuto rinunciare: era tropo esigente!
Oltre a seguire un corso midiático, facendo autodidatta, ho deciso frequentare, allora un corso privato di lingua italiana, in cui mi è stava vicina nell’approccio all’italiano anche Maddalena Antoniolli, di origine piemontese, che da molti anni vive a Salto. Ho anche coltivato l’idea di venire a fare un Master in Diritto presso l’Università di Bologna. Per motivi familiari ho rinunciato a questo progetto, ma ho preso comunque sul serio lo studio dell’italiano, anche dopo aver concluso il corso privato.
Nel 1989 ho messo per la prima volta alla prova le mie conoscenze venendo in vacanze in Europa e naturalmente in Italia. Quando sono arrivato nell’azienda agricola dei Righi, proprietà toscana vicina al fiume Arno a Laterina, che appartiene ai familiari di Cristina, Guido, cugino della mia suocera ha detto a Cristina: “ma mi avevano dello che lui non parlava italiano!”.
Prima del Viaggio, ho fato una ricerca sull’elenco telefonico di Forlì e ho provato contattare alcune persone con il cognome Arfelli. Ho scritto loro cercando di scoprire se erano parenti. Era un’illusione. Non immaginavo che il cognome Arfelli fosse così comune nella zone di Forlì. Non ho avuto qualsiasi riscontro.
Durante il Viaggio in Italia, oltre a Venezia, Firenze e altre città del solito itinerario turistico percorso da chi vieni per la prima volta, ho visitato San Marino, accompagnato da Vilma Righi (cugina di Cristina) e Cesare Romei, marito di Barbara Righi, sorella di Wilma. Conoscendo il mio Desiderio di trovare i miei familiari Cesare si è dichiarato pronto ad accompagnarmi a Forlì, ma nel frattempo avevo perso la speranza di incontrare qualcuno della famiglia.
In una circostanza, ho visto sull’Internet l’indirizzo di posta elettronica di alcune persone con il cognome Arfelli. Ho spedito loro un messaggio con qualche informazione su quello che conoscevo della storia della famiglia Arfelli. Nuova delusione. Non ho avuto risposta da nessuno, tranne da una ricercatrice universitaria di Trieste, che però non era del ceppo della famiglia. Per la verità, ha risposto la mia mail anche un’altra persona, lamentando per il fatto che, senza la sua autorizzazione, gli avevo mandato delle fotografie, che scaricarle, aveva perso tropo tempo. È giunto perfino a classificare questo avvenimento come una forma di maleducazione informatica. Ho risposto a questa persona, scusando dalla maleducazione e mettendomi comunque a disposizione per il pagamento delle spese telefoniche (a quel tempo la connessione internet era tramite modem – telefonia).
Ho ripreso nel 2001 la ricerca delle mie origini con l’idea di organizzare una riunione della famiglia Arfelli nel centoduesimo anniversario dell’arrivo in Brasile del patriarca Antonio Arfelli.
Ho deciso di preparare la riunione con qualcosa di più che un semplice rilevamento di dati anagrafici e genealogici. Ho fato ricerche sulla situazione dell’Italia e del Brasile alla fine dell’ottocento, per approfondire le cause del movimento migratorio. Mi sono impegnato nella ricerca del percorso compiuto dalla famiglia: in quale azienda erano stati avviati, quale attività erano state svolte dai membri della famiglia; i matrimoni; i luoghi di residenza; le proprietà acquisite.
Ho studiato le varie fasi del processo migratorio, quali, il reclutamento, le compagnie di Navigazione coinvolte, le normative dell’Italia e Brasile riguardante alla migrazione; la struttura di ricevimento in Brasile lungo tutto il periodo dell’immigrazione, il passaggio presso la “Hospedaria dos imigrantes“ a San Paolo. Ho approfondito addirittura le indagine e studio sulle modalità di immigrazione verso il Brasile, sul fenomeno dello sviluppo della coltivazione del caffè, sull’espansione della rete ferroviaria nello Stato di San Paolo, sul sistema di lavoro nelle Fazendas (Tenute) di caffè, sulla cultura del lavoro nella proprietà Ho indagato anche il crollo della Borsa di New York, uno dei fattori che ha permesso a molti immigrati italiani di realizzare il loro sogno dell’acquisto di una proprietà agricola.
A questo punto ho fatto vedere una bozza del risultato delle mie ricerche al prof. Jonas Soares de Souza, storiografo del Museo Paulista dell’Università di San Paolo e museologo del Museo Repubblicano di Ti. Mi aspettavo da lui solo un parere sul mito tentativo di ricerca in quel campo diverso della mia professione, ma è stata grande la mia sorpresa quando il prof. Jonas ha espresso entusiasmo per la struttura e il contenuto del lavoro e per la metodologia delle ricerche. Questo professore mi ha convento che quel lavoro avrebbe potuto essere utile allo studio dell’immigrazione italiana, che si poteva narrare anche attraverso la ripresa della memoria e della traiettoria di una famiglia. Ho così deciso di intensificare le ricerche con il valido sostegno e la guida del prof. Jonas, che mi ha dato indicazioni molto utili sulla bibliografie da consultare.
In questo periodo ho avviato molti contatti con il Comune di Forlì, la città di origine della mia famiglia. Ho fatto varie visite e ricerche al Museo dell’Immigrazione di San Paolo, che si trova nell’antica Hospedaria dos Imigrantes, dove ho potuto raccogliere dei dati sull’arrivo degli immigrati italiani e della mia famiglia in Brasile.
Ho fatto centinaia di telefonate presso le anagrafe delle diverse città in cui sono vissuti i miei. Con i certificati di nascita e di matrimonio, ho anche potuto scoprire i luoghi da cui la mia família era passata. Ogni scoperta era una nuova emozione, che diventava più intensa di fronte a parenti con cui il contato era stato perso da molto tempo. A volte non riuscivo neppure a dormire la notte, preso dall’ansietà di registrare le nuove scoperte! Non riuscivo ad evitare che la mia mente viaggiasse nel tempo, immaginando le sofferenze, le dure prove, il coraggio e la grinta degli immigrati italiani.
Alcuni parenti, fino ad allora sconosciuti, e qualche familiare più prossimo cominciarono ad aiutarmi nel lavoro fornendomi documenti, fotografie e scritti sulla storia della famiglia. Questo insieme di contributi mi ha incoraggiato e mi ha fatto decidere a scrivere il libro Fare l'America – Il sogno di una famiglia forlivese, pubblicato nel 2002 con l’appoggio del Comune di Itu.
Nonostante, mio grande impegno e i contatti con l’Anagrafe di Forlì, non ero tuttavia ancora riuscito ad incontrare i parenti italiani. Era, quindi, grande la mia delusione nel vedere un lavoro di ricerca incompleto. Mancava la storia di quelli che sono rimasti in Italia.
Nello stesso anno della presentazione del libro, ho programmato un lungo Viaggio di vacanze in Europa con tutta la mia famiglia. La Direttrice del Museo e della Biblioteca Aurelio Saffi di Forlì, Luciana Prati, che mi aveva fornito alcuni materiali per la ricerca, mi ha convento a visitare Forlì, per un incontro con il Sindaco.
Alcuni mesi prima della mia partenza, Luciana mia ha messo in contato con il geometra Mauro Mariani, che risiede a Pievequinta, una frazione di Forlì, e nel tempo libero si occupa di ricerca genealogica, con diverse libri pubblicati sul tema. Prima di partire in vacanza, gli ho fatto pervenire tutte le informazioni disponibili sulla famiglia di Antonio Arfelli e Filomena Bondi (miei bisnonni).
Dopo venti gironi di Viaggio in diversi paesi europei (Spagna, Francia, Belgio, Olanda e Germania), siamo entrati in Italia attraverso le Alpi austriache e abbiamo fatto una sosta a Bassano del Grappa, nel Veneto. Alla cena in ristorante, abbiamo potuto finalmente mangiare la pasta con il suo profumo straordinario. Mi ricordo molto bene che mio figlio Danilo, che a quel tempo aveva undici anni, si è innamorato subito della cucina italiana. Nel momento in cui ha provato la pasta ha detto: Questo sì che è cibo buono!
Venendo a Forlì, siamo passati per Bologna, che ancora non conoscevamo. Siamo rimasti stupiti dalla dimensione e dalla lunghezza dei portici, dalla bellezza di Piazza Grande, della Basilica di San Petronio e dell’Archiginnasio. Avvicinandomi a Forlì, provavo un’emozione molto forte: erro finalmente nella terra dei bisnonni e del mio nonno, anche se negli anni immediatamente precedenti alla partenza per il Brasile si erano trasferiti a Teodorano, un paese collinare vicino a Meldola e ad una ventina di chilometri di Forlì, con la speranza, resa vana dai fatti, che la vita e il lavoro in campagna potessero migliorare le loro condizioni. Naturalmente abbiamo portato con noi la macchina fotografica e la video camera per poter conservare il ricordo di tutto quello che vedevamo, senza immaginare che ci sarei stato tornato tante volte negli anni successivi.
Più tardi, mentre giravo per Forlì con la stessa apparecchiatura, immaginavo che anche i miei bisnonni e il nonno Cesare, ancora molto piccolo, avevano camminato sotto i portici della città, erano attraversati la Piazza centrale, in cui non c’era ancora la statua di Aurelio Saffi, ed erano entrati qualche volta nella bellissima Basilica di San Mercuriale.
Arrivati all’hotel, c’erano Fiori della gentile Luciana Prati. Ci siamo messi d’accordo di incontrate con Mauro Mariani, un’altra persona già entrata con le sue ricerche nella mia vita e che ho potuto incontrare e conoscere direttamente a cena.
Il giorno dopo, giunto al Palazzo Municipale per l’appuntamento con il sindaco, mi sono accorto diverse perone davanti alla Sala della Giunta Comunale, che mi hanno guardato incuriositi.
Di fronte al mio stupore, Luciana Prati e Mauro Mariani mi Hanno detto che quelle ventine di persone erano tutti miei parenti. Si può immaginare la mia sorpresa. Mariani aveva ottenuto il permesso di consultare gli archivi dell’Anagrafe e con la sua esperienza è riuscito in breve tempo a trovare i nomi dei discendenti di Augusto Arfelli, fratello del mio bisnonno Antonio.
Mariani mi ha detto che nei primi contatti con alcuni discendenti, si è accorto atteggiamenti di sorpresa, di incredulità e anche di diffidenza, quando apprendevano la notizia dell’esistenza di un brasiliano che voleva conoscere i suoi parenti in Italia. Qualcuno immaginava anche che il parente brasiliano potesse essere un mulatto e che la comunicazione con lui avrebbe potuto essere molto difficile. Ma ormai queste cose non erano più importante, essendo superate dalla gioia di quell’accoglienza in Comune nella Sala della giunta. Ogni presentazione, ogni abbraccio, ogni sguardi, ogni lacrima mi davano la sensazione di conoscere quelle persone da molto tempo.
I miei familiari italiani sono rimasti sorpresi sentendomi parlare italiano. Anche se alla prima volta che affrontavo un discorso abbastanza ampio in italiano, sono riuscito a raccontare in modo sintetico la storia della famiglia di Antonio Arfelli. Nella salla della Giunta sono intervenuti anche Mariani e il sindaco di Forlì Franco Rusticali. L’incontro con i parenti è proseguito in maniera conviviale alla cena in una trattoria dove la mia famiglia ha avuto il primo contato con la piadina romagnola, molto apprezzata da tutti noi, e in modo particolare dal mio figlio Danilo. Oggi la preparo molto bene: è stata mia maestra la cugina più anziana Renata Arfelli che l’ho conosciuta in quel giorno. Ormai ha 96 anni.
Articoli sulla Stampa dell’incontro con la famiglia
A Meldola scoprì nelle ricerche che nacque Giovanna Angela, che aveva un anno e mezzo quando la famiglia è partita per il Brasile. Di lei, tuttavia, come di Malvina, l’altra sorella più piccola del nonno Cesare, non ho trovato nessuna informazione concreta. Ho sentito dai parenti più vecchi che una di loro morii durante il Viaggio.
A Teodorano ho avuto il primo contato con il dialetto romagnolo, ma non sono riuscito a capirne niente. Nella piccola piazza del borgo c’erano alcune donne, e fra loro un’anziana, con cui Mariani ha cominciato a parlare, dicendo che eravamo brasiliani e che i miei bisnonni erano vissuti in quella zona alla fine dell’Ottocento. Nella sua ingenuità e ospitalità, tipica dei romagnoli, quella persona cercava di ricordare le persone di cui si parlava, senza accorgere che quando partì la famiglia Arfelli, lei sicuramente non era neppure nata.
Dopo tanti decenni, venticinque persone della stessa radice familiare si sono ritrovate a cenare insieme, una cena speciale, con piatti della cucina romagnola e vini di questa terra Sangiovese e Trebbiano. Altri parenti non hanno potuto esserci, ma in tutto in Italia non superano la quarantina. Noi, in Brasile, siamo molto di più, oltre dieci volte, ne ho contati più di cinquecento. Quando penso alla fecondità degli Arfelli, faccio una battuta, con la canzone di Casadei che ho ascoltato per la prima volta in Italia. È intitolata Romagna e Sangiovese e due versi dicono: Quest’aria di paese / ci invita a fa l’amore. Evidentemente i miei bisnonni hanno portato quest’aria in Brasile, in particolare il nonno Cesare, che ha avuto dodici figli da sua moglie, e poi un altro figlio quando è rimasto vedovo.
Ma bisogna anche considerare, realisticamente, che per una famiglia contadina di quel tempo, in cui c’era bisogno di tante braccia di lavoro, l’esistenza di molti figli rappresentava anche un valore economico e sociale.
Dopo l’incontro del 2002, le relazioni con i parenti romagnoli sono diventate frequenti: telefonate, scambio di mail, visite in Brasile e in Italia.
In Italia, Pierantonio Zavatti, professore, scrittore e giornalista, venuto a conoscenza attraverso mia cugina Maria Paola Monti del mio libro Fare l’America e del mio impegno ad aiutare la centenaria Società Italiana Giuseppe Verdi di Salto, apprezzando mio lavoro, ha avuto occasione di scrivere alcuni articoli sulla storia della mia famiglia e sul mio impegno per favorire la collaborazione culturale tra Forlì e Salto. Zavatti mi ha anche convinto a costituire a Salto un’associazione di oriundi italiani discendenti di emigrati Emiliano-romagnoli, per poter sviluppare un interscambio e anche una collaborazione concreta con l’Italia attraverso la Consulta degli Emiliano-romagnoli nel mondo, organo istituzionale creato dalla Regione Emilia-Romagna per divulgare all’estero il patrimonio storico e culturale di questa terra e per altri scopi importanti stabiliti da un’apposita legge.
Non avevo proprio idea di quanti potessero essere nella mia zona, a Salto (circa 110.000 abitanti) e Itu (circa 170.00 abitanti), due città vicinissime, gli oriundi Emiliano-romagnoli, ma ho fatto una ricerca presso il museo di Salto e attraverso le schede del registro stranieri della polizia a partire dal 1939, ho potuto rintracciare le famiglie di Salto e Itu provenienti dall’Emilia Romagna, che rappresentano circa il 9% degli immigrati, una percentuale molto superiore alla media nazionale del Brasile, che è il 5%. Fra coloro con cui ho presso contato per costituire l’associazione, diverse famiglie non immaginavano di avere la stessa origine geografica.
Il 31 gennaio 2005, cinquantatré persone hanno partecipato all’assemblea per la costituzione dell’Associazione Emiliano Romagnola Bandeirante di Salto e Itu (AERB). A partire da questo momento ho stabilito uno stretto rapporto con la vita e la cultura dell’Emilia-Romagna, ricercando quasi ogni giorno informazioni su storia, arte, letteratura, cinema, musica, turismo e gastronomia della regione. Ne ho potuto trovare molte informazione sul sito della Consulta degli Emiliano-romagnoli nel mondo, che per la ricchezza di notizie invito a consultare. Devo dire che il recente Museo Virtuale dell’Emigrazione Emiliano romagnola nel Mondo – MIGRER - offre al visitatore un’esperienza immersiva, interattiva e multimediale sull’emigrazione e cultura emiliano romagnola.
La Consulta degli Emiliano-romagnoli nel mondo é un è organo consultivo della Regione Emilia-Romagna, all’interno del Servizio Diritti dei Cittadini, dell’Assemblea Legislativa – un’istituzione di rappresentanza dell’esperienza migratoria regionale.
L’associazione che ho promosso e di cui sono stato eletto il primo presidente, grazie all’entusiasmo e alla partecipazione attiva di molti soci, ha potuto organizzare diverse iniziative, presentare e realizzare vari progetti con l’obiettivo di mantenere vivo il vincolo con la mostra terra di origine, il suo ricco patrimonio culturale e la lingua italiana. Abbiamo attuato quali partner con diversi enti e associazione dell’Emilia Romagna (Provincia di Forlì-Cesena, Provincia di Parma, Comune di Forlì, comune di Forlimpopoli, Casa Artusi, Istituto Fernando Santi, Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani ecc...)
La presenza attiva nelle comunità di Salto e Itu ha permesso all’Associazione Emiliano Romagnola Bandeirante (AERB) di acquisire sempre nuovi soci e simpatizzanti.
Attraverso la costituzione di quest’associazione e grazie alla fiducia di varie persone, nel 2005 sono stato nominato consultore del Brasile nella Consulta degli emiliano romagnoli nel mondo, e poi, su proposta della presidente Silvia Bartolini, sono stato eletto membro del comitato Esecutivo di questo organo, un incarico che richiedeva mia presenza in Italia almeno, all’inizio del mandato, quattro volte all’anno. Durante le riunione della Consulta in Italia, colgo l’occasione per visitare i parenti romagnoli e per imparare sempre qualcosa di più sull’Emilia-Romagna, oltre ad approfondire i rapporti con gli enti e associazione locali. È come si avessi una grande voglia di recuperare l tempo perduto, essendo trascorso quasi un secolo senza alcun contato fra gli Arfelli brasiliani e la terra dei loro antenati.
Tramite la Consulta e partecipando attivamente alla sua gestione quali Consultore da 2006 e membro del Comitato Esecutivo (per due mandati), ho avuto l’opportunità di conoscere tante persone, fare tante amicizia e approfondire la mia passione e conoscenza sul ricco patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.
Inoltre l’Associazione Emiliano Romagnola Bandeirante di Salto e Itu, è potuta organizzare diverse iniziative tramite progetti presentati e approvati dalla Consulta. I nostri giovani hanno colto diverse opportunità offerte dalla Consulta per migliorare l’apprendimento della lingua, frequentare corsi di formazione, master all’Univestità di Bologna, fare stage (progetto Boomerang).
Sono molto contento che questo ho potuto trasmettere ai miei figli questo sentimento di appartenenza, di italianità e di romagnolità. Loro hanno imparato l’italiano, sia con i frequenti contatti con i parenti che frequentando corsi della lingua. Beatrice ha frequentato il corso di italiano a San Paolo tenuto dall’Istituto Italiano di Cultura. Danilo invece è andato a Bologna per un corso di vacanze offerto dall’Università di Bologna con un piccolo contributo dalla Consulta.
Posso dire sicuramente parafrasando la canzone di Casadei: Romagna e Sangiovese c’è sempre nel mio cuore. E ci sarà per sempre.
A Teodorano, ci sono anche tornato con il Sindaco Loris Ventura, che addirittura mi ha accompagnato in una visita al Castello, ormai proprietà del comune di Meldola.
Ritornai a Meldola diversi volte negli anni di 2008. 2009, quando già Consultore della Consulta degli Emiliano Romagnoli nel Mondo. Ho partecipato di diverse iniziative promosse da Pierantonio Zavatti sia nel Teatro Dragoni che nelle scuole per raccontare la vicenda della mia famiglia.
I miei cugini forlivesi sono affettuoso e ospitali, e la loro collaborazione è stata preziosa anche nel settembre 2009, quando ho organizzato il soggiorno nella mia regione di origine di una trentina di associati dell’AERB e di altri cittadini di Salto e Itu desiderosi di conoscere questa terra, i suoi beni culturali e le tradizioni locali.
Nonostante il mio amore per l’Italia e per Emilia-Romagna, vivo tuttavia mia vita in Brasile, dove dal 1989 sono Promotor de Justiça – Procuratore della Repubblica, appartengo al Pubblico Ministero, una delle istituzioni più rispettate in Brasile, tenendo conto suo ruolo costituzionale di avvocato della società che gli è stato affidato.
Il Pubblico Ministero, al contrario di ciò che succede in Italia, non appartiene alla Magistratura. In Brasile è un’istituzione autonoma e indipendente, fondamentale per la funzione giurisdizionale dello Stato, cui la Costituzione Federale attribuii la difesa dell’ordine giuridico, del regime democratico e degli interessi sociali e individuali indisponibili.
Si può direi l Pubblico Ministero è l’istituzione responsabile dalla difesa dei cittadini, nella prospettiva dei diritti collettivi e di controllo del rispetto della legge, nelle cause in cui ci sai un interesse pubblico. Fra le sue funzioni è da sottolineare la promozione della responsabilità giudiziaria di chi sia coinvolto in un crimine (ad esempio, atti di corruzione, stupro, omicidio, furto ecc). Deve altresì indagare nelle inchieste civili e proporre azione civile pubblica pela difesa degli interessi dei bambini, degli adolescenti, delle persone con handicap, degli anziani, del patrimonio pubblico, dell’ambiente, dei consumatori, dell’abitazione e pianificazione urbanistica, del patrimonio storico e culturale, accanto ad altri interessi diffusi e collettivi. Più di trenta anni fa, fu approvata la legge sull’Azione Civile Pubblica, che ha adatto al Pubblico Ministero il principale strumento giuridico pela la difesa degli interesse diffusi e collettivi e da allora il Pubblico Ministero dello Stato di San Paolo opera come custode di questi diritti, difendendo la collettività ogni volta che un atto privato o pubblico li violi.
Il Pubblico Ministero adempie con onore in Brasile il suo impegno di difesa dello Stato democratico di diritto, ed è soprattutto nell’azione contro la disonestà amministrativa che ha contribuito decisamente al rafforzamento della democrazia rappresentativa, operando in modo che siano rigorosamente puniti dalla legge gli autori di atti contrari alla dignità della funzione pubblica.
Questo è da molti anni il mio impegno professionale, che ha un elevato contenuto civile, e nelle svolgimento del mio incarico mi sono senz’altro di aiuto i valori umani, morali e religiosi che sono stati trasmessi dai miei antenati a tutta la famiglia e anche a me.
La famiglia Arfelli non ha accumulato in Brasile grandi fortune, ma cercando di migliorare la propria situazione, con il proprio lavoro e i propri ideali, ha dato senz’altro un contributo al paese in cui è emigrata.
Siamo noi della quarta, quinta generazione la fortuna che i bisnonni, i nonni e i nostri genitori hanno lasciato in eredità al Brasile, e adesso tocca a noi l’impegno di continuare a fare l’America nel paese in cui siamo nati e vogliamo vivere.
Nessuno poteva immaginare che quel bambino che a sete anni mangiò per la prima volta i cappelletti e che fino a venticinque anni non aveva neanche un’idea precisa della sua origine, potessi oggi impegnarsi seriamente per rafforzare le relazioni della sua città e dello Stato di San Paolo con l’Emilia-Romagna e con l’Italia, o per usare un’immagine tratta da una poesia de Pierantonio Zavatti, trasformata in canzone da suo figlio Antonio, per costruire almeno un metro del ponte fra il Brasile e l’Italia.
Questo impegno, che per me è diventato quasi una missione, richiede molto tempo, tante energie e anche molta comprensione da parte della mia famiglia, m aio lo vivo con piena partecipazione e con gioia, perché è bello far crescere l’amicizia e la collaborazione fra città e popolazioni che hanno qualcosa di importante in comune e nuove risorse umane e culturali da scambiarsi fra loro.
E così facendo, mi sembra anche di continuare il viaggio attraverso l’oceano iniziato, il 28 ottobre 1899, da Antonio Arfelli, Filomena Bondi e dai loro figli.
Fonte: testimonianza di Amauri Chaves Arfelli | Libro "Dall'Italia noi siamo partiti...", a cura di Pierantonio Zavatti, 2010
Storia di Amauri Arfelli, discendente di emiliano-romagnoli originari di Forlì, emigrati in Brasile nel 1896. Raccontata dal protagonista che, nel 2005, ha fondato l’Associazione Emiliano-Romagnola Bandeirante Salto – Itu.
Lingua: italiano. Sottotitoli in portoghese.
Storia di Maria Arfelli, nata a Teodorano, oggi Meldola (Forlì-Cesena) emigrata in Brasile all’età di 13 anni nel 1899. Dopo due anni suo padre morì e toccò alla madre e alle quattro figlie adolescenti (tra cui Maria) portare a termine il contratto di mezzadria nella tenuta di caffè nello stato di São Palo dove vivevano. Maria si sposa nel 1905 ma pochi anni dopo anche suo marito muore e lei è costretta a farsi carico dei tre figli. La storia si ripete e mostra il coraggio e la grinta delle donne di questa famiglia. A raccontarla è Malvina Arfelli (figlia di Maria) che ha compiuto da poco 90 anni, insieme a sua nipote trentenne, Ana Livia Araujo Gardinassi (bisnipote di Maria).
Partner locale: Associação Emiliano- Romagnola Bandeirante Salto – Itu.
Lingua: portoghese. Sottotitoli in italiano.