A Câmpulung Muscel batte anche un cuore emiliano-romagnolo

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Nella seconda metà del 19° secolo arrivano a Campulung Muscel, in Romania, gli emigranti emiliano-romagnoli, originari di Piacenza, Fanano, Rimini.

Di una emigrazione italiana, nelle vecchie provincie autonome (che erano conosciute come Principati romeni) che oggi formano la Romania, si é parlato sin dalla prima metà del 19° secolo, non una emigrazione organizzata ma casuale, come ad esempio i pendolari agricoltori.

Un arrivo di circa 60 lavoratori italiani recati nella stessa zona per appoggiare la rivoluzione Transilvanica del 1848, è stato ritrovato in alcuni documenti dell'archivio Oltenia di Craiova. Però il maggior numero di emigranti italiani in Romania, quindi la vera e propria emigrazione italiana, accadde nella seconda metà del 19° secolo, tra il 1880 ed il 1883 ma anche più tardi.

All'interno del fenomeno dell'emigrazione specifica di quel periodo, arrivarono a Câmpulung Muscel, in Romania, non pochi emigranti emiliano-romagnoli, originari di Piacenza, Fanano, Rimini e altre zone.

Le professioni più ricercate in questa zona carpatica erano: tecnici, costruttori, taglia pietre, forestali e muratori. Le ragioni per cui questi posti si facevano attrarre, erano tante: il grano della Valacchia, le miniere petrolifere della Prahova, Dambovita e Buzau; i cereali del Banat, i minerali, i gas naturali e gli abeti della Transilvania, i boschi di querce e di faggi della Bucovina ed i vigneti dell'estrema regione della Moldavia, ai confini con la Russia.

Nel periodo anteriore alla prima guerra mondiale, a Câmpulung Muscel, esistevano delle colonie d'italiani sia permanenti, che temporanee. Le prime, erano quasi tutte formate nel decennio 1880/1890 e costituite in maggioranza di muratori, minatori, operai meccanici e commercianti. La seconda colonia, temporanea, era formata da operai in gran parte muratori che si portavano in Romania per un lavoro stagionale dalla primavera all'autunno.

Si può affermare che l'industria edilizia di Câmpulung Muscel, in quel periodo, costituiva un vero monopolio italiano e che tutte le grandi opere pubbliche furono realizzate grazie all'ingegno ed all'intuito degli italiani che lavorarono in questa zona.

Già dal 1882, si formò una consistente comunità italiana che lavorava nella pavimentazione delle strade della città. 

Nello stesso periodo, alcuni appaltatori, ingaggiarono tecnici e lavoratori forestali,  facendoli arrivare a Câmpulung Muscel e nei dintorni – Stăneşti , Nucşoara , Corbşori , Rucăr , dove installarono, per la prima volta in Romania, le segherie meccaniche. Tempo dopo cambiarono località e si stabilirono nelle valli dei fiumi: Doamnei, Târgului e Dâmboviţa.

Pochi decenni prima di 1914 questa località era un insignificante borgo di sotto-montagna ma, il Re Carlo I la promosse per le sue attrattive naturali. La città si sviluppò, arricchendosi di residenze, ville borghesi ed alberghi. C'era tanto da lavorare specie nel ramo edile in cui, numerosi romagnoli furono assunti.

Il lavoro non mancava ma, era il quadro politico europeo ad essersi modificato in negativo, perché la guerra era alle porte; gli emigranti italiani, furono presi alla sprovvista e, si trovarono in una situazione molto particolare. O ci si doveva arruolare nell'esercito nemico dell'Italia o si doveva fuggire. Molti decisero di abbandonare la Romania, seppure era ormai troppo tardi per rientrare in Italia. Alcuni passarono il confine russo e, dopo tre mesi di peripezie, salendo fino a San Pietroburgo, attraversando il Mar Baltico, il Mare del Nord e l'Atlantico in nave, varcato lo stretto di Gibilterra, sbarcarono in Italia nel porto di Napoli. Gli altri che avevano tentato il rimpatrio, attraverso la Turchia, non riuscirono nell'impresa ed alcuni di loro finirono a lavorare in luoghi lontanissimi, persino in Persia (l'attuale Iran).

Terminato il conflitto, furono rifatte le valige e si prese nuovamente la strada per la Romania. Oltre il bisogno di soldi, in quelle lontane contrade, c'erano altre cose attraenti: la Romania di allora, era un paese ricco di risorse, anche del sottosuolo molto desideroso di sfruttare al massimo le sue potenzialità economiche. Si stima che gli Italiani presenti in Romania, in questo periodo, fossero circa 60.000, in prevalenza: veneti, friulani ed emiliani, con diversi piemontesi e trevigiani.

Il mestiere più diffuso tra gli emigranti italiani in Romania, era quello di muratore, praticato dall'80 % delle maestranze, seguiti dai boscaioli, i taglia pietre, i pittori ed altri lavori.

Il periodo 1920/1930, fu di notevole prosperità per il giovane stato costituitosi come: "Romania Mare (Grande Romania), il quale raddoppiò la superficie, con l'annessione della Transilvana e la Basarabia e quasi triplicò la popolazione; tale prosperità fu dovuta alla realizzazione di una riforma agraria e dell'inizio dell'industrializzazione del paese. Furono anni febbrili, in cui la Romania si espandeva economicamente.

Per i nostri emigranti italiani, il lavoro vicino a Câmpulung non mancava e nelle vicinanze cominciarono a fiorire impianti industriali di tutti i tipi. Una grande cartiera, sorse a Câmpulung che, nelle vicinanze si adottò di un villaggio operaio. Inoltre c'erano fabbriche di cemento e cave di pietra, ma grandiose furono le segherie che lavoravano tronchi d'alberi che superavano i due metri di diametro. Sempre in questa zona, si sviluppò molto il settore turistico. La manutenzione dei palazzi e delle ville, era una fonte di guadagno continua, poi c'erano tutti i lavori nei centri vicini, nelle miniere di carbone. 

Numerosissima fu la comunità italiana che risiedeva a Câmpulung, dove riuscirono a mantenere in vita le tradizioni culturali e anche la fede religiosa.

Quanto all'istruzione, il modello scolastico assomigliava un po' a quello francese ed era privilegiata la cultura generale, rispetto alla formazione professionale. I figli degli emigranti italiani, potevano frequentare la scuola romena e, se le condizioni economiche erano buone, erano mandati a studiare in patria. Tanti emigranti italiani, in quel periodo, riuscirono a raggiungere un tenore di vita alto, per nulla paragonabile a quanto esisteva in Italia; alcuni di questi, della prima generazione e che avevano fatto fortuna non essendo in grado di superare la nostalgia dell'Italia, rientrarono in patria.

I punti di riferimento principali, riguardo al fenomeno dell'emigrazione italiana a Câmpulung, restano però le tre categorie di diversa natura corrispondenti ai tre aspetti del fenomeno: emigrazione di commercianti, contadini ed operai.

Nel 1921, la svalutazione mandò in grave crisi i commercianti italiani ma, allo stesso tempo, risanò l'ambiente con l'espulsione di elementi non adatti e poco onesti, con lo spingere le ditte e gli organismi economici seri ad una più severa valutazione delle possibilità del mercato romeno, con un ritorno ad un relativo equilibrio dei traffici.

La vita, però, non era più serena come prima ed i viveri aumentarono di prezzo, non certamente in relazione ai salari e, di conseguenza sorsero malumori, agitazioni, scioperi e, si spensero pure le patriarcali relazioni fra padrone e operaio. La svalutazione della moneta romena, il Leu plurale Lei, e la depressione economica, di tutto l'oriente europeo, frustarono ogni tentativo di rinnovare le correnti emigratorie.

Una volta triplicata la popolazione, la richiesta di manodopera diminuì e, la classe operaia autoctona riuscì a coprire in gran parte le esigenze d'alcuni settori. Però in certi rami dell'industria: edile, nei centri di Bucarest, Galazi, Costanza e, nell'industria forestale di Transilvaniea e Bucovina, rimase una certa deficienza di operai ma, in generale, apparve anche se in misura ridotta, il fenomeno della disoccupazione, che preoccupava da tanto tempo le nazioni occidentali.

Neppure nel settore agricolo le cose stavano meglio. Furono emanate leggi che limitavano l'esportazione del grano che obbligavano ad un trasferimento interno, verso la Transilvania. A questo punto, l'emigrazione italiana delle categorie dei contadini, operai e commercianti, cessò e rimase solo l'opportunità per i tecnici, perché era ben nota la mancanza di un ceto medio di specialisti capaci di formare i quadri dell'esercito di lavoratori qualificati, utili per lo sfruttamento delle materie prime esistenti nel paese.

L'elemento tecnico italiano, aveva già guadagnato notorietà in passato, per il contributo di lavoro intelligente che lo rendeva indispensabile nella collaborazione con i romeni, nell'opera di riorganizzazione economica, nel paese e dei settori edilizi e petroliferi. Il periodo successivo degli anni '30/'40, vide continuare dal lato economico dello sviluppo, mentre la situazione divenne instabile dal punto di vista politico. Nel 1939, in Romania, vi fu un colpo di stato, le tensioni politiche nell'intera Europa si facevano più acute ed anche in Romania, era presente il clima che precedette il 2° conflitto mondiale.

La fine della guerra segnò duramente il destino della Romania, perché la politica internazionale la collocò tra gli stati dominati dai Russi, dato che questi erano i vincitori nell'Est d'Europa. La potenza Sovietica cercò subito di orientare la vita politica romena, in modo autoritario, secondo gli obbiettivi del socialismo.

Prima di questa guerra, gli emigranti italiani, godevano di una notevole libertà economica e, dal punto di vista politico, erano ben integrati, essendo considerati cittadini di una potenza alleata. Alla fine del conflitto, le cose mutarono completamente. Da amici o, addirittura fratelli, gli italiani divennero in pochi mesi, "Forze Imperialiste" cui liberarsi al più presto.

Le autorità comuniste, appena salite al potere, si preoccuparono di formare la futura classe dirigente con un'azione capillare d'indottrinamento ideologico. Nel 1947, si procedette, in una sola notte, al cambio monetario che rovinò, in particolare, gli emigranti che avevano alle spalle una vita di risparmi. Dopo il cambio monetario, fu portata avanti la nazionalizzazione dei grandi impianti industriali e delle grandi tenute agricole che, successivamente, in breve toccò alla media e piccola proprietà industriale commerciale ed agricola. In due anni, si mise fine alla proprietà privata. Dove, neppure le case furono risparmiate: le abitazioni venivano divise secondo la grandezza così, molte famiglie, proprietarie, si trovarono a dover alloggiare, controvoglia, altri coinquilini con cui dividere non solo cucina e bagno, ma anche le camere.

Nel 1951, la dittatura comunista, arrivò ad un giro di vite decisivo verso gli emigranti, con il rimpatrio forzato. Prima di tutti, immancabilmente, toccò agli Ebrei, poi venne il turno degli altri a fra questi 40.000 italiani che, furono rimpatriati con convogli di cento persone ogni 15 giorni. Ognuno poteva portare al massimo una valigia contenente effetti personali per un peso complessivo di 35 Kg. Se si portava oro, veniva sequestrato.

Alla fine, quello che si era costruito in una vita, si doveva abbandonare; qualcosa si riuscì a salvare, grazie all'aiuto della diplomazia italiana, che consentiva di far rientrare dei valori tramite la valigia diplomatica, ma in realtà, furono soltanto poche cose. Gli italiani rimasti in Romania, furono licenziati dai posti di lavoro e costretti a scegliere tra il rimpatrio e la naturalizzazione. Una parte scelsero la seconda opzione.


Fonte: materiale inviato per MIGRER dall'Associazione ER di Campulung Muscel

 

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