Il piano come metafora narrativa: questa l’invenzione ideativa del progetto. Il viaggio come figura retorica dell’identità in cammino: l’istante “che mi ha formato”, con il quale confrontarmi per ciò che sono diventata. Le donne come soggetto autodeterminato: che interpreta la storia e muta di segno pure alla geografia. Le soggettività interpellate in questo progetto sono corpi sessuati e situati, necessitano declinazioni molteplici, ed in questa molteplicità rivelano la morfologia diversa – rispetto agli usi maschili – del “piano delle donne”.
L’introduzione del “Monopoli” (Polifemmes), con 12 caselle corrispondenti ad altrettante chiavi di genere (cfr. l’analisi stesa dal Centro Documentazione Donna di Modena), funge nel progetto da alfabeto di riconoscimento per le partecipanti. Tuttavia, insieme ai tematismi, per attrezzare una grammatica di genere serviva un ordine topologico del discorso, qui tanto più necessario in quanto si è trattato di rappresentare non soltanto la figura retorica del viaggio, ma una determinata casistica esperienziale di donne viaggiatrici. Con una referenza geografica costante: all’Italia, all’Emilia-Romagna, alle località di partenza, a quelle cui le donne viaggiatrici sono approdate o riapprodate.
Perciò è stata interpellata la geostoria: occorreva un impianto metodologico atto a leggere “negli” spostamenti geografici intercorsi. La soluzione è venuta dalla realizzazione di grandi carte tematiche (“Go-Kart”) riferite alle 4 località in cui sono stati approntati i laboratori interattivi assieme ai partner di progetto – Parigi, Berlino, Genk, Reggio Emilia – più un laboratorio di prova a Firenze in occasione del festival “L’Eredità delle Donne” lanciato da Serena Dandini. A Firenze, il team di progetto si è presentato con una magnifica carta del centro storico, attraversato da un segno grafico corrispondente all’Arno.
La scelta di rappresentare l’acqua che scorre nella città, in quanto elemento simbolico vitale, ma anche segno memorabile nel vissuto geografico, è stata accolta da un plauso unanime. Pertanto, la medesima interpretazione grafica è stata poi ripresa con la Senna a Parigi, la Sprea a Berlino, l’Albert-Kanal a Genk, il torrente Crostolo a Reggio Emilia. Più critica, alla luce del prototipo fiorentino, si è rivelata la scelta del criterio matematico e grafico con il quale rappresentare aree urbane difformi per estensione (il centro storico nei confronti di periferie estese), quindi inscrivere (tramite post-it) personaggi/processi/eventi di genere ritenuti memorabili. Variabile significativa si è rivelata inoltre la composizione delle partecipanti ad ogni singolo laboratorio. Che cosa sia accaduto, caso per caso, si evince dalla puntuale documentazione audiovisiva che ha accompagnato il progetto, accessibile tramite il team di progetto.
In estrema sintesi. Parigi e Berlino, con gruppi non troppo numerosi e una soglia anagrafica decisamente giovane (soprattutto a Parigi), hanno premiato l’appartenenza alla città in chiave intellettuale e politica: da Marguerite Duras a Rosa Luxembourg, per dare una giusto l’idea. Con il valore aggiunto, nel laboratorio berlinese, di una memoria lunga dell’opera ricostruttiva della città distrutta dai bombardamenti di cui si fecero carico le “donne delle macerie”. Genk ha visto la partecipazione appassionata di due diverse generazioni anagrafiche, madri e figlie genealogiche, cresciute integralmente dentro l’universo-mondo della miniera: negli aspetti riproduttivi (le case per le famiglie dei minatori), in quelli associativi (l’associazione AFI, la Zaal Papà Cervi), nelle fasi produttive e meno conosciute (quale la selezione del detrito carbonifero).
Reggio Emilia – anche per la scelta di attrezzare nell’occasione un luogo estremamente popolare – ha registrato una presenza numerosa, estesa su tre generazioni, geograficamente multiforme: donne native o immigrate da altre regioni italiane, donne arrivate dall’estero e ora divenute italiane per cittadinanza, donne di ascendenza emiliano romagnola che da uno stato estero hanno fatto ritorno. La lunga teoria dei post-it ha qui messo in evidenza la compresenza nei medesimi luoghi tra le più antiche lotte per l’emancipazione politica e le mobilitazioni successive – estese sino all’inizio del nuovo millennio – di giovani donne per l’autodeterminazione dei propri diritti sessuati, l’apertura dei consultori, la formazione sanitaria.
di Antonio Cannovi
Fonte: sito Polifemmes – donne e culture in movimento