Volume a cura di: Anabela Cristina Costa da Silva Ferreira
Questo progetto, fortemente voluto da DIT e Casa Artusi, grazie al sostegno della Consulta emiliano-romagnoli nel mondo e del Comune di Forlimpopoli, pone al centro dell’indagine il cibo (e le parole) per rappresentarlo, laddove, oltreoceano, le comunità dei nostri migranti, soprattutto in Argentina e Brasile, sono numerose e fortemente sensibili alla cultura d’origine.
E lo abbiamo fatto, nell’ambito di una proficua collaborazione che dura nel tempo fra Casa Artusi e le tante associazioni emiliano-romagnole nel mondo, ricordando Dante e Artusi.
Non è stata solo un’operazione dovuta alla suggestione irresistibile di unire due Illustri, al tempo in cui le celebrazioni dei 200 anni di Artusi consegnavano il testimone ai 900 di Dante. Il progetto, in nome del padre della nostra lingua e del padre della nostra cucina, è sostenuto dalla coerente volontà di approfondire cosa significa mangiare italiano fuori dall’Italia, attraverso la pratica domestica di oggi e le parole del cibo.
Dante è conosciuto da tutti. Così come lo è la sua Commedia, l’opera più famosa di tutta la letteratura italiana, scritta non nella lingua “ufficiale” di allora, il latino, ma in quella materna del suo autore, cioè il fiorentino del 1300, culla della lingua italiana di oggi. E Artusi, il cui ricettario conosciuto e tradotto in tante lingue del mondo, paragonabile, come risulta scritto in un’importante lettera del carteggio artusiano, 2 solo alla Divina Commedia, si muove, alcuni secoli dopo, lungo la strada tracciata dal Sommo Poeta.
(Laila Tentoni - Presidente della Fondazione Casa Artusi, Forlimpopoli)
Da tempo gli studi di discipline diverse hanno descritto e sottolineato l’importanza del cibo nei processi di definizione, presa di coscienza e rielaborazione dell’identità: a partire dalle semplici riflessioni che nascono dalla pratica più concreta, dagli ingredienti al ruolo di un determinato cibo all’interno delle liturgie domestiche, il cibo favorisce un confronto fra culture diverse, fra sé e gli altri, essenziale e ricorrente nei processi migratori.
Gli italiani emigrano con le loro cucine regionali (le parole della loro cucina regionale entrano nello spagnolo dell’Argentina o nel portoghese brasiliano) che – nel complesso processo di ridefinizione dell’identità – diventano nazionali, cioè “italiane”, nella nuova patria: è quest’ultima, infatti, che le riconosce come “italiane”. Sono relazioni complesse che il progetto si propone di esplorare a partire da un’indagine sul lessico dal punto di vista della memoria degli “italiani” dell’America Latina.
(Francesca Gatta - Direttrice del Dipartimento)